Caro-spesa,
riecco l'inflazione

Caro-spesa, riecco l'inflazione
di Francesco Pacifico
Giovedì 23 Febbraio 2017, 08:16 - Ultimo agg. 10:09
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Tutta colpa delle zucchine, delle melanzane o dei carciofi. Tutta colpa di quelle che un tempo erano verdure di stagione e che adesso si mangiano tutto l'anno, se l'inflazione a gennaio ha segnato un'impennata. L'anno si è aperto con un aumento del carovita dell'1 per cento tendenziale, con tre decimali in più rispetto a dicembre. E accanto al capitolo energia (il gasolio segna un +3,7 per cento mensile e un +13,9 annuo, la benzina, rispettivamente, un +3,3 e un 9,3 per cento) è il carrello della spesa a gravare di più sulle tasche degli italiani: i vegetali freschi sono saliti a livello congiunturale del 14,6 per cento e del 20,4 a livello tendenziale, la frutta fresca dello 0,9 e del 7,3 per cento.

Il fenomeno non è soltanto italiano. Da settimane in Gran Bretagna imperversa sui social l'hashtag #courgettecrisis, con la difficoltà di trovare le zucchine nei supermercati che allarma la popolazione più della Brexit. Perché complice le piogge nella zona di Murcia, da dove vengono l'80 per cento delle derrate mangiate dagli inglesi, è diventato difficile trovare frutta e verdure. Alcuni supermercati hanno contingentato gli acquisti, intanto nelle principali città, ha denunciato il Telegraph, è tornata la borsa nera come ai tempi di guerra, dove si pagano anche sette sterline per un mazzetto di broccoli, spinaci, cavoli o lattuga. Tanto che il Financial Times si chiede «se anche i più strenui sostenitori del Leave stiano riflettendo su come il libero commercio e la globalizzazione in fondo non siano così male».

In Italia la situazione non ha preso questa piega, ma ci sono alcuni elementi in comune con lo scenario inglese. Da fine novembre e per buona parte di gennaio il Belpaese è stato aggredito da un'ondata di gelo, che non si ricordava da anni. Contemporaneamente, lo scorso 30 novembre a Vienna, i Paesi dell'Opec hanno firmato un accordo per tagliare la produzione di greggio di 1,8 barili al giorno, con il risultato che il prezzo del Brent è passato da 45 dollari di allora ai 54 di oggi. «Avendo una filiera lunga, cioè non essendoci soltanto consumi a chilometro zero», spiega Stefano Masini, direttore dell'area Ambiente e Territorio di Coldiretti, «con il freddo si è dovuto consumare più energia, più carburanti, il cui prezzo intanto saliva, per coltivare quelle zucchine e quei finocchi che adesso si mangiano tutto l'anno».

L'altra faccia della medaglia è, nella rilevazione dell'Istat, l'assenza di aumenti nel carrello della spesa per gli alimenti lavorati. I prodotti dell'industria conserviera o della panificazione non hanno registrato rincari. A riprova del fatto che le aziende hanno maggiore capacità di fare il prezzo nei loro rifornimenti dei comuni consumatori. I quali pagano le storture della filiera della distribuzione, sempre più monopolizzata dalla GDO, che negli anni ha saputo dotarsi di proprie reti di trasporto, centrali d'acquisto e canali di approvvigionamento. Nel 2007 l'Antitrust denunciò rincari fino al 300 per cento. Non a caso in Italia agli agricoltori finisce poco meno di un quinto del prezzo finale. «Se la filiera fosse corte», rileva Masini, «sarebbe più facile rilevare se ci sono turbative ai prezzi». Alla fine dello scorso anno l'Antitrust ha applicato l'articolo 62 della legge 27/2012, quello che regola i rapporti di forza negoziale, ha censurato due supermercati legati alla Coop per abuso di posizione commerciale nei confronti di un piccolo fornitore di pere, costretto al fallimento anche dalle richieste di sconti e promozioni.

Proprio nel periodo in cui salivano freddo e costi dei carburanti l'Ismea fece una rivelazione sulle quotazioni degli ortaggi: all'ingrosso erano stati registrati aumenti a livello settimanale del 29 per cento per i cavolfiori, del 33 per le lattughe e del 50 per i finocchi. Rincari molto alti le avevano segnate anche le produzioni di serra: le zucchine costavano il 36 per cento in più, i pomodori il 17, i peperoni del 20 e le melanzane del 13.

Quest'aumento dei prezzi, con i salari che sono cresciuti nel 2016 soltanto dello 0,6 per cento, finisce per indebolire le capacità di spesa degli italiani. L'economista Mariano Bella, a capo dell'ufficio studi di Confcommercio, non a caso ha commentato: «Sebbene l'Istat abbia rivisto al rialzo le stime preliminari sull'inflazione, che a gennaio ha raggiunto una crescita dell'1 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, siamo moderatamente preoccupati perché la crescita in Italia è ancora troppo fragile».

Parallelamente cambiano a tavola anche le abitudini degli italiani. Secondo Coldiretti il caro ortaggi ha spinto a comprare più carne bovina (+14 per cento), salumi (+10), maiale (+8), i legumi secchi (+4). Da notare che c'è stato un boom di verdure surgelate (+14 per cento), che costano quasi un terzo in meno di quelle fresche.