Fca, ombre sul futuro di Pomigliano e Pratola Serra

Fca, ombre sul futuro di Pomigliano e Pratola Serra
di Nando Santonastaso
Venerdì 12 Ottobre 2018, 07:00 - Ultimo agg. 11:42
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Stabilimenti di eccellenza, come Pomigliano, in cerca di una mission nuova quanto affidabile sul piano commerciale e tecnologico. Impianti come Melfi, dove verranno investiti altri 200 milioni per la produzione della Jeep Renegade a motore ibrido, pronti a un ulteriore salto di qualità. Realtà storicamente affidabili, come la Fma di Pratola Serra dove si producono motori diesel di alta gamma, sul cui futuro iniziano a circolare forti dubbi. Per non accennare alle incognite che da tempo continuano ad addensarsi sulle prospettive di fabbriche storiche per l'Italia e per la Fiat a Nord, come Grugliasco e Mirafiori. Più ombre che luci segnano l'attuale congiuntura Fca in Italia con elementi di incertezza che sembrano rafforzati dalla tragica scomparsa di Sergio Marchionne e dalla conseguente ristrutturazione dei vertici del gruppo. Nell'ultimo incontro con il premier Giuseppe Conte e il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio, il presidente Fca John Elkan ha confermato che il piano industriale elaborato quando Marchionne era ancora in vita non subirà modifiche. E l'investimento su Melfi, che di quel piano faceva parte, lo confermerebbe in maniera piuttosto chiara.
 
Il guaio è che non ci sono altrettante certezze che quel piano corrisponda alle nuove esigenze del mercato, in continua evoluzione. E che la decisione di Fca di rinunciare al diesel per puntare ai modelli elettrici o ibridi debba comunque fare i conti con scenari diversi e non sempre omologabili alle logiche che hanno ispirato le strategie Fca degli ultimi anni. Il caso di Pratola Serra è emblematico: impianto di altissimo livello tecnologico, specializzato nella produzione di motori diesel destinati ai modelli di gamma levata del gruppo, rischia di andare incontro a una stagione di pericolosa incertezza per i suoi 1600 addetti. «In ordine di importanza è il caso più delicato dell'immediato futuro, perché la decisione Fca di rinunciare ai diesel dal 2021 senza indicare almeno per ora uno scenario alternativo altrettanto affidabile apre una serie di preoccupazioni che sarebbe difficile nascondere», dice Giovanni Sgambati, segretario regionale Uil e per anni impegnato sulle problematiche Fiat in qualità di leader dei metalmeccanici dello stesso sindacato. Ma a fare notizia, purtroppo da mesi, è il continuo calo di vendite della Panda, unica attuale missione produttiva dello stabilimento di Pomigliano, pluripremiato per i suoi livelli di efficienza e innovazione al punto da esportare alcune delle sue migliori menti alla casa di Detroit per insegnare ai colleghi americani le metodologie produttive e organizzative praticate con successo al Vico. Trentamila in meno anche a settembre, come documentano gli ultimi dati sulle immatricolazioni di auto in Italia. Per ora non c'è alcuna conferma dell'ipotesi, accreditata più volte dallo stesso Marchionne, che a Pomigliano sarebbe stata assegnata una seconda missione produttiva, considerato che la Panda non lascerà l'Italia prima del 2022. Si parla ancora del mini suv su cui Fca vorrebbe puntare per coprire una fascia di mercato in continua espansione, collegandola a quel rilancio del marchio Alfa che sembra ancora una priorità strategica.

Servirebbero conferme, però, e il condizionale è mai come in questo caso d'obbligo se si considerano le mosse che nel frattempo stanno mettendo in atto le altre compagnie automobilistiche internazionali. La rinuncia, ad esempio, di Ford alle berline è un segnale che non può non essere sottovalutato nell'ottica del problema forse più serio che in questo momento il management Fca ha di fronte: la progettazione di modelli in grado di catturare l'interesse dei consumatori soprattutto in Italia ed Europa che appaiono molto più deboli sul piano commerciale del fronte americano dove, al contrario, il gruppo italiano continua ad andare alla grande.

Rispondere in tempi meno incerti degli attuali ai dubbi sul futuro di Pratola Serra e alle ansie di nuova crescita di Pomigliano, sul quale Fiat ha investito quasi un miliardo con risultati apprezzati e riconosciuti in tutto il mondo, vuol dire non disperdere un patrimonio di professionalità e competenze tecnologiche interamente cresciuto al Sud. Un dato, quest'ultimo, sul quale varrebbe la pena di soffermarsi perché indice di una cultura del lavoro che non tutti, anche all'indomani dello storico referendum di Pomigliano, erano disposti a riconoscere. Per ora, però, il presente parla solo di proroga della Cassa integrazione guadagni con il contributo della Regione Campania: un incontro di verifica è stato convocato per il 26 ottobre prossimo al ministero del Lavoro che potrebbe diventare anche, come sottolinea il segretario regionale Uilm Antonio Accurso, l'occasione «di un primo momento di confronto sugli investimenti e le future assegnazioni produttive dello stabilimento di Pomigliano, superando questo momento di incertezza che non fa bene all'azienda e mortifica gli sforzi profusi in questi anni a difesa dell'insediamento».

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