«Un arresto cardiaco»: è solo l'epilogo, resta il mistero sulla malattia di Marchionne

«Un arresto cardiaco»: è solo l'epilogo, resta il mistero sulla malattia di Marchionne
di Mario Ajello
Giovedì 26 Luglio 2018, 07:00
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ZURIGO - La storia di Sergio Marchionne purtroppo è finita qui. E il grande manager è andato via portandosi i segreti della sua malattia, i misteri clinico-sanitari, dei suoi ultimi giorni di vita, custoditi dai suoi cari e dall'azienda e blindati nell'ospedale zurighese. Che cosa esattamente ha portato alla morte Marchionne il ceo di Fiat Chrysler? Un infarto, un altro infarto: questa la vulgata. E ufficialmente si parla di arresto cardiaco. Ma questa è la storia dell'epilogo di ieri. Anche se l'ospedale non dice a che ora e non fornisce notizie su nulla. Il punto importante è però capire che cosa è accaduto prima.
 
Le reali condizioni in cui egli entrò in ospedale il 27 giugno, i problemi gravi che si sono verificati durante l'intervento - ufficialmente, alla spalla, ma a tutti è sembrato un modo per non dire: polmoni - o che si sono manifestati nel decorso post-operatorio, le terapie e tutto il resto sono state avvolte nel buio della privacy più ferrea. Il che ha scatenato una serie di ipotesi non verificabili, una girandola di illazioni e di fake. Perfino di fulminante tumore al pancreas, diagnosticato quando non c'era più nulla da fare, si è parlato sul web. Mentre una tesi, considerate abbastanza insider, è quella secondo cui Marchionne fu ricoverato per un tumore alla spalla, cioè un sarcoma, una neoplasia maligna dei tessuti molli e del sistema articolare. Un tumore grave di cui l'ex ad di Fca sarebbe stato perfettamente a conoscenza, anche se mostrava di minimizzare. «Starò in ospedale qualche giorno e poi si ricomincia tutto come prima», aveva detto a John Elkann e anche ad altri. Durante l'intervento, un'embolia cerebrale avrebbe complicato tutto. Mandando il paziente in coma. E questa è una ipotesi nel mistero. La certezza è che nei giorni della degenza ci sia stata una parola tabù: tumore. Finché non è stata sdoganata, e forse gli è stata rimproverata, da un grande amico della famiglia Agnelli e di Marchionne: l'avvocato Franzo Grande Stevens. Ha parlato delle sigarette di Marchionne - quelle che egli adorava, che gli hanno colpito i polmoni e che poi «lo hanno tradito» - e non ha citato il vocabolo tumore ma chiaramente di quello stava dicendo Grande Stevens. Fonti vicine alla famiglia continuano a smentire che sarebbe stata quella la causa, aggravata poi da complicazioni - un ictus? - nella fase operatoria.

Il riserbo sul tumore ai polmoni - se quella è stata la prima causa da cui poi complicazione dopo complicazione sarebbe arrivato il decesso - è anche comprensibile. Considerando le sponsorizzazioni, pure da parte di industrie del tabacco, della Ferrari. E il figlio Alessio Giacomo lavora in Philip Morris. Ma, appunto, una sorta di cortina fumogena avvolge gli ultimi giorni di Marchionne. Di sicuro, con grande fatica, nell'ultimo anno aveva smesso di fumare. E non si sono viste più scene come quelle a cui agli amici capitava di partecipare. Marchionne siede al tavolo di un bar per parlare con qualcuno, ma chiede al cameriere: «Una Coca Cola e due posacenere». Entrambi per lui.
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