L'impegno di Draghi:
«Nessuna stretta sui tassi»

L'impegno di Draghi: «Nessuna stretta sui tassi»
di Antonio Pollio Salimbeni
Venerdì 21 Luglio 2017, 08:57 - Ultimo agg. 22 Luglio, 09:15
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Bruxelles. Fiducia, perseveranza, pazienza, prudenza. Ecco i termini usati da Mario Draghi per condire un messaggio preciso: la politica monetaria della Bce resta quella di adesso. Per valutare se sarà il caso di avvicinare il momento del ritiro del «quantitative easing» forzato, che ha salvato la zona euro dalla deflazione e sostenuto la ripresa, l'appuntamento sarà in autunno. Autunno, non settembre, ha precisato. Tuttavia, sembra che i mercati abbiano comunque interpretato il messaggio di Draghi come la conferma di una preparazione dell'inizio del rientro dalla politica monetaria ultra-accomodante. L'euro ha ringraziato: le parole di Draghi lo hanno spinto fino a toccare quota 1,16 dollari, ai massimi da gennaio 2015. La moneta unica si è rafforzata di oltre l'1% sulla sterlina, dell'1% sullo yen. E lo spread tra Btp e Bund tedesco ha chiuso in calo di 8 punti base a quota 158, ai minimi da metà gennaio.

Draghi ha ripetuto alla virgola di quanto indicato negli ultimi mesi: «Ci aspettiamo che i tassi restino agli attuali livelli per un esteso periodo di tempo e ben oltre l'orizzonte degli acquisti di asset». Il tasso di interesse sulle operazioni di finanziamento principale è rimasto invariato a zero, fermi anche gli altri tassi. E ancora: gli acquisti di bond al ritmo di 60 miliardi al mese scadranno a fine di dicembre, «ma potrebbero anche essere prolungati oltre se necessario».
Il motivo è sempre lo stesso: sull'inflazione «ancora non ci siamo, non ci sono segnali convincenti, non è al livello al quale noi vogliamo si trovi o là dove dovrebbe essere», ha detto Draghi. La situazione richiede ancora un grado di accomodamento monetario «molto sostanziale». Il percorso verso l'obiettivo di una crescita dei prezzi inferiore ma vicina al 2% resta alquanto accidentato. Sembra il gioco dello jo-jo: a giugno era all'1,3%, a maggio all'1,4%, ad aprile all'1,9%, a marzo all'1,5%, a febbraio al 2%, a gennaio all'1,8%. Secondo la Bce nei prossimi mesi «resteranno probabilmente ai livelli attuali». La ripresa più solida, più ampia non spinge in alto i prezzi. I salari sono deboli, lo scenario troppo incerto. «La nostra è sempre un'analisi a molte facce, l'incertezza è molta, per cui la Bce non vuole essere forzata a prendere decisioni senza informazioni complete, ecco perché dobbiamo essere pazienti e non abbiamo ancora discusso che cosa accadrà» prossimamente.

La ragione di tanta prudenza è che Draghi vuole calmare i mercati contrastando l'aspettativa che il ritorno a una politica monetaria normale possa far scattare troppo in alto sia i rendimenti dei bond che il valore dell'euro. Non a caso ha detto che «l'ultima cosa che vogliamo è un irrigidimento non appropriato delle condizioni monetarie». Tanto per rincarare la dose ha ripetuto il mantra dei mesi in cui l'Europa surfava verso la deflazione: «Se le prospettive dovessero diventare meno favorevoli o se le condizioni finanziarie dovessero risultare incoerenti con i progressi verso un aggiustamento nel ritmo dell'inflazione, saremo pronti ad aumentare gli acquisti in termini di periodo e di dimensione». Draghi ha tenuto a indicare che la decisione di aprire una discussione sull'orientamento della politica monetaria in autunno è stata presa all'unanimità. E che all'unanimità è stato deciso di non fare alcun passo ora. In questo periodo il dissenso interno (della Bundesbank ma non solo) appare in sordina. In Germania, però, le critiche restano, tanto è vero che qualche giorno fa il responsabile del Consiglio economico della Cdu, il partito di Angela Merkel, ha detto che «la Bce dovrebbe prendere adesso misure per arginare gradualmente l'inondazione di denaro».