Crac Etruria, la relazione della Consob: informazioni false dai manager

Crac Etruria, la relazione della Consob: informazioni false dai manager
di Valentina Errante
Martedì 5 Dicembre 2017, 09:46 - Ultimo agg. 18:51
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Bugie al mercato, mancate informazioni al pubblico, violazione delle regole sulla profilatura dei clienti. È il retroscena, descritto da Consob, in relazione all'emissione, tra il 2012 e il 2014, di 677,9 milioni di obbligazioni Etruria (subordinate e senior) vendute al retail e poi annullate per decreto. Gli atti dell'istruttoria, che si è conclusa con sanzioni per 2,76 milioni di euro, sono ancora all'esame della procura di Arezzo, che ipotizza per i componenti dell'ex cda di Etruria (del quale Pier Luigi Boschi, padre del sottosegretario Maria Elena, era vice presidente) le ipotesi falso in prospetto e accesso abusivo al credito, proprio per i soldi incassati dalla Banca in difficoltà sulla base delle false informazioni. Sullo sfondo, anche l'ipotesi che i vertici di Etruria abbiano mentito a Consob, se pure, nell'ultima modifica del prospetto contestato (il 23 dicembre 2013 con la concessione di cinque giorni per il recesso) Etruria aveva inserito le risultanze dell'ispezione di Bankitalia. Consob fa riferimento «alla gravità obiettiva delle violazioni accertate, in relazione agli interessi protetti dalla norme violate e alla diffusione delle conseguenze dannose anche potenziali». Di fatto il valore delle azioni, azzerate con il decreto del 22 dicembre 2015, è di 275 milioni di euro. La maggior parte era detenuto da famiglie.
 
Secondo Consob i vertici di Etruria avrebbero omesso di informare il mercato dell'effettiva situazione aziendale, omettendo una serie di informazioni, indispensabili alla clientela per comprendere l'effettivo rischio di quel tipo di investimento, rivelatosi poi suicida. Si legge nell'atto di Consob, notificato ai componenti del cda e agli atti dell'inchiesta della procura di Arezzo: nei prospetti informativi diffusi da banca Etruria in relazione «all'offerta di prestiti obbligazionari, svolta nel periodo compreso tra il 31 luglio 2012 e il 12 giugno 2014, non risultano essere state adeguatamente riflesse le iniziative di vigilanza poste in essere da Banca d'Italia con le proprie note del 24 luglio 2012 e del 3 dicembre 2013, nonché i contenuti del rapporto ispettivo del 5 dicembre 2013 nei profili rilevanti ai fini dell'offerta al pubblico». Non solo, Etruria, scrive ancora Consob, ha «omesso di riportare, tempo per tempo, nella citata documentazione d'offerta, o in un eventuale supplemento della stessa, i rilievi formulati da Banca d'Italia nella proprie note del 24 luglio 2012 e del 3 dicembre 2013, aventi ad oggetto la Situazione aziendale nonché i rilievi e osservazioni, considerato che le informazioni in oggetto erano certamente necessarie per consentire agli investitori di pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell'emittente, nonché sui suoi risultati economici e sulle sue prospettive».

Ai componenti del cda si contesta di non avere riferito neppure alla Consob quale fosse la reale situazione patrimoniale della banca, proprio quando il prospetto che avrebbe accompagnato le obbligazioni doveva ricevere l'ok della commissione per la Borsa. Circostanze che avrebbero pesato proprio sul via libera. Il riferimento è «al contenuto della risposta fornita in data 27 maggio 2013 ad una richiesta formulata dalla Consob in data 20 maggio 2013, nel corso dell'istruttoria di approvazione del Prospetto, e, in particolare, per avere la Banca fornito in riscontro informazioni lacunose e non corrispondenti alla reale situazione aziendale».

Consob contesta irregolarità «che hanno pregiudicato la corretta prestazione dell'investimento, la dimensione e il perdurare nel tempo delle condotte scorrette poste in essere». Di fatto l'emissione di quelle obbligazioni costituiva per Etruria l'ultimo tentativo di salvezza, una ricapitalizzazione che, forse, secondo i vertici, avrebbe potuto risollevare le sorti della banca, finita in default. A pagarne le spese i risparmiatori, parti civili nei processi per truffa avviati nei confronti dei funzionari, proprio per la vendita i quelle obbligazioni.

È stata la Consob a inviare il dossier alla Procura di Arezzo per valutare gli eventuali profili penali. Il primo reato ipotizzato dai magistrati sarebbe stato il falso in prospetto, sospettando che le informazioni fornite alla clientela nel prospetto trasmesso alla Consob sarebbero state false o incomplete. Sarebbe stato poi ipotizzato il ricorso abusivo al credito. Il prospetto autorizzato dalla Consob, sulla base però delle informazioni falsamente trasmesse dal cda della banca, avrebbe di fatto ingannato i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate. I 110 milioni incassati dalla Banca con le subordinate potrebbero essere stati, pertanto, raccolti abusivamente. La richiesta di proroga delle indagini sarebbe determinato anche dalla necessità di fare ulteriori accertamenti su eventuali contributi «tecnici» da parte di organi interni alla banca nella redazione del prospetto approvato dal cda e inviato alla Consob.
 

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