Boccia: «Bene rilancio investimenti
ma serve un piano competitività»

Boccia: «Bene rilancio investimenti ma serve un piano competitività»
di Nando Santonastaso
Giovedì 13 Aprile 2017, 08:38 - Ultimo agg. 10:23
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 Presidente Boccia, lei ha parlato di “manovrina” a proposito del varo del Def e del Piano nazionale delle riforme: delusione o consapevolezza che di più non si poteva fare in questa fase? 

«La politica economica di un Paese è fatta di tanti piccoli passi. La “manovrina”, in quanto tale, non permette grandi aspettative, la manovra va letta per quello che è. Ma ora aspettiamo di approfondirla». 

Ma raggiungere l’1,1% del Pil quest’anno, come dice il governo, le sembra un obiettivo possibile?

«Potenzialmente sì ma a condizione che si prosegua sulla strada delle riforme».

Quali misure a breve termine la convincono di più ad una prima lettura del Def? 

«Mi sembra interessante la riattivazione degli investimenti pubblici che, com’è noto, rinvigoriscono anche quelli privati. Dovremo fare attenzione al buon funzionamento della macchina amministrativa e delle procedure perché questi investimenti si realizzino davvero». 

E su quali invece il governo ha avuto secondo lei meno coraggio?

  «Non è una questione di coraggio. È evidente che serve un piano di medio termine per rilanciare la competitività del Paese, ma questo non c’entra con la “manovrina”».

Dal Def è scomparso il riferimento al taglio dell’Irpef: non teme che in vista della manovra di ottobre, che dovrà eliminare il pericolo dell’aumento Iva, la pressione fiscale sia quasi per inerzia costretta a crescere?

«La manovra va vista e valutata complessivamente. Se la scelta è dare priorità al cuneo a vantaggio dei giovani è una giusta direzione».

Potrebbero non pensarla così tutti i suoi colleghi industriali...

«Confindustria sta cercando di svolgere un ruolo di ponte tra gli interessi della categoria e quelli del Paese. E oggi il Paese ha bisogno di politiche coraggiose in grado di mirare a obiettivi sensibili. In tempi di risorse scarse bisogna fare scelte selettive».

Per il Sud, la conferma delle risorse e degli obiettivi già indicati è sufficiente o si poteva e doveva osare di più considerato che il governo ripete da tempo che il Mezzogiorno è uno dei pilastri decisivi per il futuro del Paese?

  «L’Italia ha bisogno di un’idea di politica economica e di una visione per il futuro che sia univoca. Al Sud, come ripeto ormai da tempo, non servono politiche differenti rispetto al resto del Paese ma solo più intense. La stagione dell’emergenza è ancora in atto ed è proprio dal Mezzogiorno che l’industria deve ripartire perché qui ci sono ancora grandi potenzialità inespresse. Il rafforzamento del credito d’imposta è stato fondamentale ma non basta».

Cosa serve allora?

«Serve investire sulle infrastrutture e utilizzare bene i fondi europei canalizzando le risorse su progetti concreti. Serve un grande piano di inclusione dei giovani nel mondo del lavoro che andrebbe a beneficio soprattutto delle regioni meridionali dove il fenomeno della disoccupazione è più intenso».

 Il governatore della Bce Mario Draghi pochi giorni fa ha detto che occorre rilanciare i salari per ridare più slancio ai consumi interni e far risalire stabilmente l’inflazione. Che ne pensa?

«Condivido le parole del governatore che pongono un’esigenza decisiva per dare solidità alla crescita. Le imprese sono impegnate sullo stesso percorso ma per noi è fondamentale aumentare la produttività e quindi la competitività del sistema che resta purtroppo ancora indietro rispetto ad altri Paesi: è il presupposto fondamentale per accelerare».

Torniamo al governo: lo scontro tra Renzi e Calenda ha fatto rumore. Secondo lei c’è un caso Calenda nella maggioranza o si tratta di dialettiche forti ma comprensibili su certi temi?

«Non è la polemica ad interessarci, ammesso che una polemica ci sia, ma la soluzione concreta ai problemi. Per quanto ci riguarda, il ministro Calenda sta lavorando bene su diversi temi cruciali per forgiare l’impresa del futuro come l’impegno sul piano Industria 4.0 dimostra». 

Ma secondo lei conviene accelerare per andare subito alle urne o attendere la scadenza naturale della legislatura?

  «Non ci appassiona il tempo delle urne anche se non ci sfugge il periodo delicato che il Paese sta attraversando. Legge elettorale ed elezioni sono mete fondamentali di una democrazia ma dobbiamo occupare il tempo anche affinché la politica rimetta al centro i fondamentali dell’economia: penso a crescita, responsabilità, solidarietà. Questo è un presente in cui dobbiamo “scambiare” impegno, responsabilità e sacrifici per un futuro migliore».

È preoccupato per le minacce di dazi sui prodotti europei e italiani da parte dell’amministrazione americana di Trump?

«Siamo preoccupati che a un certo desiderio di protezionismo si possa rispondere con la voglia di nazionalismi, anticamera di un mondo egoista e chiuso che è l’esatto contrario di quello che serve per sviluppare ricchezza e benessere».

Ma il problema esiste...

«Solo una decina di giorni fa Confindustria ha ospitato le organizzazioni imprenditoriali dei sei più grandi paesi industriali, sette con l’Italia, per ribadire l’importanza di agevolare scambi e commerci. E la sa la cosa più interessante?».

Quale?

«Ha firmato il documento comune contro ogni protezionismo anche la delegazione americana che si farà portavoce delle istanze scaturite dal vertice nei confronti del presidente degli Stati Uniti e dei suoi consulenti».

Una bella vittoria. Ci contava?

«Bella davvero. Abbiamo lavorato molto per ottenerla anche perché la posizione comune delle Confindustrie che si sono confrontate presso di noi sarà viva e presente al G7 che si terrà tra un mese a Taormina condizionando positivamente, almeno così ci auguriamo, la discussione politica».

Intanto l’Europa stenta a trovare un tratto comune sui temi più caldi della dialettica internazionale…

«Anche questo è vero. L’Europa dovrà fare di necessità virtù e decidere una volta per tutte di trovare quella coesione indispensabile a renderla interlocutore serio e temuto in un mondo caratterizzato da poli sempre più forti come quelli russo, cinese e ora americano».

Ci riuscirà?

«Dovrà farcela anche perché è il mercato più ricco del mondo con un debito pubblico complessivo inferiore a quello degli Stati Uniti.
Se non sapremo davvero unirci nella confederazione sognata dai nostri Padri Fondatori saremo preda facile degli appetiti di chi nelle nostre divisioni può trovare la sua fortuna».
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