Banche, «scudo» da 150 miliardi
dalla Ue sì alla garanzia pubblica

Banche, «scudo» da 150 miliardi dalla Ue sì alla garanzia pubblica
Giovedì 30 Giugno 2016, 20:35 - Ultimo agg. 1 Luglio, 08:27
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BRUXELLES - Alla fine un primo coniglio è uscito dal cappello. Può darsi che sia l'unico, ma anche no. Dopo giorni di incertezza, la Commissione europea - in un modo abbastanza tortuoso - ha dato la notizia che ha subito avuto un impatto positivo in Borsa: l'Italia ha chiesto di autorizzare garanzie pubbliche per il sostegno di liquidità alle banche solventi e Bruxelles l'ha data. Validità fino a 31 dicembre 2016, però è prevista una proroga di sei mesi in sei mesi. È questa la rete di sicurezza immediata per fermare il crescendo di tensione sui mercati centrato sulle banche italiane. Significativamente, sia Roma che Bruxelles convergono su un messaggio che si vuole rassicurante: è tutto da vedere se sarà necessario usare lo schema di garanzia per le banche che non hanno problemi di capitale. Anzi: la Commissione dice apertamente che «non ci si aspetta» che venga usato.

Comunque vadano le cose il salvagente c'è. Logicamente ciò implica che il problema banche non è chiuso, nulla indica finora che la discussione con Bruxelles sia finita. Da parte italiana, infatti, non è stato smentito se il governo punta o meno a ottenere il riconoscimento di una «grave perturbazione finanziaria» e della necessità di «preservare la stabilità finanziaria» allo scopo di poter decidere sostegni pubblici straordinari senza aprire procedure di risoluzione. E poi c'è il rafforzamento del capitale del Fondo Atlante. 

Più che di uno scudo bancario, dunque, si tratta di un cuscino di salvataggio in caso di necessità. Circola la cifra di un cuscinetto fino a 150 miliardi: la Commissione non commenta, fonti diverse ricordano che per definizione schemi di tale natura sono preventivi, cautelativi, e non si fondano su ammontari predeterminati. La decisione della Commissione non è di oggi, ma a quanto si è saputo è stata presa nell'ultimo fine settimana. Nessuno ha detto nulla: nè l'esecutivo comunitario nè il premier Matteo Renzi, che pure di banche ha parlato a lungo. Sulle banche c'era stato il botta e risposta a distanza con la cancelliera Merkel, che ha chiarito come la Germania sostenga la posizione della Commissione sulle regole del 'bail-in': Merkel ha detto che non possono essere cambiate dopo sei mesi di applicazione e che le soluzioni alle difficoltà attuali possono essere trovare nell'attuale complessa e ampia legislazione. Renzi aveva reagito indicando che l'Italia non vuole ascoltare i maestri, però ha spezzato una lancia a favore del rafforzamento del Fondo Atlante con una ricapitalizzazione e Cdp (pubblica) ne è già azionista con 500 milioni.

Qualcuno ha interpretato la decisione Ue sulle garanzie per il sostegno alla liquidità come una vittoria sulla linea Merkel, ma ne manca l'evidenza. A Berlino in ogni caso sono consapevoli della necessità di evitare uno psicodramma sulle banche italiane che può portare a un indebolimento dell'economia, a ulteriore fragilità della zona euro, avere ripercussioni sulla stabilità del governo. Nell'era Brexit non si può rischiare.

Resta naturalmente tutto aperto la vera questione relativa alle ricapitalizzazioni delle banche là dove è necessario, ricapitalizzazioni che devono rispettare le regole europee degli aiuti di Stato se coinvolgono entità pubbliche. In linea teorica, esiste la possibilità prevista dal Trattato Ue che i governi decidano all'unanimità che una certa disposizione pubblica a favore di un settore o anche di un'impresa possa essere giudicata un aiuto di Stato compatibile con la legislazione europea «quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione». È una soluzione accarezzata dall'Italia, ma finora non ci sono segnali che la Commissione ritenga sufficienti le turbolenze post Brexit per giustificare una soluzione del genere.

Così come è tutto aperto il cantiere dell'interpretazione delle regole del risanamento e della risoluzione (bail-in) nella visione italiana: quelle regole permettono di decidere di esentare una categoria di creditori in presenza di rischi per la stabilità finanziaria dall'assunzione di una parte dei costi del rafforzamento del capitale di una banca (l'altro criterio riguarda il caso di impatto sproporzionato dell'operazione su quella categoria). Può esservi intervento pubblico «precauzionale» nel capita le se deve essere evitato o si deve rimediare «a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria». Un'idea che circola a Roma è questa: sulle banche potrebbe essere fatta una operazione analoga a quella condotta sulla flessibilità per i bilanci pubblici.

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