«La divina Adriana Basile resti a Napoli», gli studiosi si mobilitano per il ritratto della Sirena di Posillipo, opera di Sellitto

«La divina Adriana Basile resti a Napoli», gli studiosi si mobilitano per il ritratto della Sirena di Posillipo, opera di Sellitto
di Donatella Trotta
Giovedì 24 Maggio 2018, 12:49
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La sua leggendaria avvenenza fisica era pari al virtuosismo del suo talento musicale, fondato su straordinarie capacità canore (riverberate dalla seduzione del suo rimbro scuro e raro di contralto) , compositive (da provetta cantautrice) e polistrumentali. Doti di non scontata eccellenza professionale femminile unita a leggiadria che, nella Napoli cinque-seicentesca, la facevano perciò vagheggiare dalle Corti d’Italia e d’Europa. E giunsero a far affermare persino all’esigente Claudio Monteverdi, mai tenero verso strumentisti e cantanti, che «la signora Andriana benissimo cantare, benissimo sonare e benissimo parlare ho udito» (in una lettera datata 28 dicembre 1610). Tanto che la «bella» e «divina Adriana» Basile, nota pure come «la Sirena di Posillipo», arrivò a oscurare non solo tutte le migliori cantanti del suo tempo, ma addirittura il fratello Giovan Battista (sì, proprio l’autore de Lo Cunto de li Cunti, altra personalità di una famiglia benestante fitta di letterati e musicisti), mietendo successi e ispirando cori di lodi e opere in suo onore da parte di celebri compositori, letterati, artisti, nobili, cardinali e prìncipi mecenati che però non intaccarono mai la proverbiale, riservata compostezza di questa diva ante litteram, sposata (con il gentiluomo calabrese Muzio Barone) e madre di più figli: di cui due, Caterina ed Eleonora, anch’esse cantanti.

Questa avvincente storia torna ora alla ribalta grazie ad un ritratto - un olio su tela di 106 cm x 90,5 cm - attribuito al pittore caravaggesco Carlo Sellitto (1580-1614), al centro di un grande evento che intreccia musica e arte nel solco di una tradizione misconosciuta al grande pubblico, ma che una ristretta comunità di studiosi e specialisti intende restituire alla pubblica fruizione: in occasione della inaugurazione dei nuovi spazi espositivi partenopei al primo piano della Galleria d’arte Porcini, già Napoli Nobilissima (in piazza Vittoria 6), da oggi alle ore 19 il dipinto di una collezione privata - che ritrae Adriana Basile in piedi, elegantemente vestita, con un cartiglio musicale nella mano sinistra e la destra poggiata sulla tastiera di un organo da camera, il bel viso serio e un po’ accigliato, velato di malinconia - sarà infatti esposto al pubblico. E in omaggio alla mitica musicista - che animava in modo incomparabile i giardini e il mare posillipino e i palazzi della corte vicereale spagnola - ci sarà anche un concerto di musiche cinque-seicentesche (con i soprani Silvia Frigato e Benedetta Corti, Giuseppe Guida al violino barocco e Stefano Demicheli al cembalo) che nel programma curato dal musicologo Domenico Antonio D’Alessandro, in collaborazione con il Centro di Musica Antica Pietà dei Turchini, prevede anche la prima esecuzione assoluta di tre villanelle inedite di due fratelli di Adriana: Giovan Battista (autore dei testi) e Donato (autore delle musiche), conservati nel Fondo Richelieu della Biblioteca Nazionale di Parigi. Una vera chicca, in anteprima mondiale nella città della musica per antonomasia.

«Il quadro è stato a lungo attribuito al Parmigianino: almeno fin quando, nel 1991, fu Ferdinando Bologna a correggere il tiro, datandolo tra il 1611 e il 1614 e individuando la mano di Carlo Sellitto: eccellente ritrattista, titolare di una delle botteghe più feconde e produttive del primo decennio del ‘600 a Napoli e attento a conservare anche nel naturalismo caravaggesco il legame con la tradizione tardocinquecentesca e con le aree più periferiche del Regno», spiega Giuseppe Porzio, storico dell’arte e componente del Comitato scientifico del Museo di Capodimonte, che sta lavorando da anni a una monografia sul pittore napoletano di origini lucane, di imminente pubblicazione per l’editore Arte’m nella collana del Dipartimento di Scienze umane e sociali dell’Orientale “Custodi della Memoria”, coordinata da Riccardo Naldi. Ma a lungo, prosegue Porzio, il dipinto è stato poi erroneamente ritenuto un “ritratto di gentildonna in vesti di Santa Cecilia”. «Ed è con la definitiva identificazione della “bella Andreana”, grazie all’intuizione e alle ricerche del musicologo Domenico Antonio D’Alessandro che ha in preparazione una corposa monografia sulla famiglia Basile – sottolinea Porzio – che il quadro acquista così un valore di preziosa testimonianza, e non solo sull’opera e il ruolo di Sellitto, artista oggi finito in ombra dopo una prima fruizione critica nel 1977 con la grande mostra didattica curata da Bologna e Causa a Capodimonte».

L’identificazione della Sirena di Posillipo ha di recente trovato riscontri anche in un disegno successivo di Ottavio Leoni, conservato a Genova a Palazzo Rosso, e in una incisione del 1628 di Nicolas Perrey per la seconda edizione del Teatro delle glorie della Signora Adriana Basile, custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Ma il rischio è che il suo ritratto a olio - commissionato dopo tormentate trattative per incassare il consenso di Adriana da Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova, per la sua peziosa quadreria segreta di gentildonne - denso di risonanze iconologiche e rinvii al costume di un’epoca cruciale per la storia di Napoli, e non solo, finisca in mano a privati: «Rischio da scongiurare, magari con una mobilitazione che restituisca alla città di cui è stata simbolo un’artista – sottolinea il musicologo Paologiovanni  Maione, docente di Storia della Musica ed Estetica al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli - entrata nel mito come icona di stile, di competenza professionale e di sensibilità interpretativa nella musica tra ‘500 e ‘600. Ma anche come una donna capace di muovere agli affetti – secondo la rivoluzionaria poetica monteverdiana – e divenuta modello e capostipite per intere generazioni di cantanti, oltre che simbolo della grande civiltà musicale napoletana dal respiro internazionale. Una portavoce insomma della nostra memoria musicale più preziosa, che deve ritornare a Napoli per restarci».

L’idea, lanciata da un gruppo di studiosi, è di poter donare al Museo di Capodimonte che già possiede la celebre «Santa Cecilia» di Sellitto anche questo ritratto “musicale”: avviando magari una sottoscrizione come quella che in Svizzera ha restituito alla pubblica fruizione il «Moschettiere» di Picasso (stimato circa 1,67 milioni di euro), acquistato in tre giorni da 25mila donatori. Per la “divina Adriana” la posta in gioco è molto più bassa, forse proprio per incoraggiare un mecenatismo capillare: 80mila euro. «Un’iniziativa meritoria, che abbraccio con grata gioia e speranza», commenta Sylvain Bellenger, direttore del Museo e Parco di Capodimonte. «Un’idea – aggiunge - in sintonia con la visione di cittadinanza attiva e partecipata che perseguo dal mio insediamento, anche con iniziative minori come l’adozione di una panchina, a cui la città ha risposto insperatamente molto bene. In un Paese come l’Italia, di antica storia come Francia e Spagna, non si può pensare infatti che il suo futuro sia gestito solo dallo Stato, senza la partecipazione attiva di ciascuno. E penso anche che non sia possibile capire una civiltà senza la sua musica: di qui l’importanza di questo quadro. Anche per questo – conclude Bellenger - ho rilanciato il luglio musicale promosso negli anni ’50 da Causa, con “Musica alla Reggia”, e il prossimo ottobre allestirò a Capodimonte una grande mostra di costumi dell’opera lirica nel secolo d’oro di Napoli, in collaborazione con il Teatro San Carlo, in tutto l’appartamento reale. Per intrecciare, come il quadro di Sellitto evoca con forza, storia visuale, artistica, culturale e musicale».
 
 
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