Il mistero di Nina, creatura cechoviana tra amore e morte rintracciata da Claudio Facchinelli

Anton Cechov legge "Il gabbiano"
Anton Cechov legge "Il gabbiano"
di Donatella Trotta
Venerdì 26 Ottobre 2018, 18:30
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Ci sono libri che sorprendono, non soltanto perché sfuggono a qualunque incasellamento (riduttivo) in banali definizioni di genere. Ma soprattutto perché, dettati da profonda necessità interiore, avvincono e trascinano il lettore con la forza del loro fluire oltre gli argini tra verità e immaginazione, rigore documentario ed evocazione lirica: esplorando orizzonti inattesi ai confini tra narrativa e saggistica, poesia e drammaturgia, racconto storico e inchiesta, indagine poliziesca e ricerca spirituale, mistero e rivelazione. Sono piccoli ma densi libri-mondo, che consentono viaggi inaspettati nello spazio e nel tempo, generando scoperte e incontri molteplici con il metodo delle sei lezioni americane di Italo Calvino: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza. E sono libri-gioiello, rari e preziosi - preziosi perché rari - che brillano improvvisamente, dalla soglia appena dischiusa delle stanze private (della memoria, dell’immaginazione, della sapienza, della tenace ricerca e sensibilità emotiva dei loro autori) dove gli scrigni che li contengono sono custoditi con sollecitudine e cura amorevole: lo stesso intimo, profondo amore che li ha generati. E di cui sono testimonianza concreta. D’arte e di vita.

Un po’ come nelle parole di Nina Zareçnaja, protagonista del dramma in quattro atti Il gabbiano di Anton Pavlovic Cechov, quando a proposito dell’arte afferma: «l’essenziale non è la gloria, non è il lustro, non è ciò che sognavo, ma la capacità di soffrire. Sappi portar la tua croce, e abbi fede. Io ho fede, e questo mi allevia il dolore, e, quando penso alla mia vocazione, non ho paura della vita». Trae non a caso ispirazione proprio da un inesausto amore per Cechov, la Russia, la sua letteratura e teatro – e non solo – il singolare libro di Claudio Facchinelli Dosvidania, Nina! (Cronaca di una ricerca sospesa), pubblicato da Sedizioni di Diego Dejaco editore (pp. 118, euro 15), che l’autore presenterà oggi alle ore 18 a Napoli, nella sede dell’Associazione  Maksim Gor’kij in via Nardones 17 (con interventi teatrali, tra gli altri, di Salvatore Guadagnuolo e Peppe Coppola di Agita Teatro). Dosvidania, in russo, vuol dire “arrivederci”: e il saluto del titolo allude alla scritta notata, a metà anni Ottanta, da Facchinelli su una tomba del cimitero di San Michele a Venezia, in quella suggestiva “Isola dei morti” dove, passeggiando tra i monumenti funebri di numerosi intellettuali, musicisti e artisti ospitati nel campo “degli acattolici” (da Pound a Stravinsky, Djagilev, Brodskij, Vedova), l’autore si imbatté per caso in un piccolo sepolcro dell’area greco-ortodossa, delimitato da una ringhiera in ferro battuto e sormontato da una croce con una corona di rose in marmo sul cui piedistallo era inciso, in italiano, lo strano epitaffio: «Nina Sloutzky, nata in Siberia, morta a Venezia il 29 gennaio 1886».

Strano perché manca la data di nascita della defunta, e non solo: dietro la croce, sul muro di recinzione, una lapide rettangolare con delle rosette agli angoli riportava poi un’altra scritta, in russo («Anna Jakolevna Sluckaja – Figlia di un Generale di Fanteria»), in aggiunta peraltro a un terzo (e ancor più incongruo) epitaffio, seminascosto dall’edera, sulla congiunzione dei due bracci della croce, anch’esso in russo ma con un piccolo errore di ortografia: «Arrivederci, Nina!». Sembra l’incipit perfetto di un mistero esistenziale, ma di fatto è anche la scintilla di un cortocircuito creativo scaturito da un incontro fantasmatico ma «emotivamente importante», destinato a ossessionare per quasi trent’anni (e tre anni di ricerche meticolose) l’autore: classe 1943, fine e colto saggista, giornalista, formatore e critico teatrale, nato a Saint-Vincent e residente a Milano, già uomo di scuola di lungo corso - da matematico “non pentito” e “umanista nel cuore” appassionato di letteratura russa – e specialista di teatro di ricerca, noto per il suo impegno pluridecennale nella promozione del teatro della scuola e nel sociale (su cui ha pubblicato testi tra i quali Come a teatro, Ghisetti e Corvi 2002; Quelli di Terza sono bestie, 2008 e Dramatopedia, 2011, entrambi con Edizioni Corsare), oltre che nella memoria della persecuzione degli ebrei (con pubblicazioni come Voci dalla Shoah, La Nuova Italia 1996, e Un ragazzo ebreo nelle retrovie, Giuntina 1999).

Capire chi fosse quella Nina/Anna così contraddittoriamente evocata, in modo formale e insieme intimo, nel suo appartato monumento funebre lontano dalla natìa Siberia, diventerà la “mission impossible” di Facchinelli: ostinatamente teso - fra mille ostacoli, avanzamenti della ricerca e delusioni, colpi di scena e scoperte - a ricostruirne la storia presumibilmente breve, e forse tragica, sulle tracce di pochissimi e labili indizi. Tra i quali, alcune suggestioni volte a rendere plausibile l’ipotesi (non del tutto inverosimile) che sia stata proprio lei, morta a 25 anni (come l'autore avrà poi modo di varere conferma fortunosamente, confrontando varie fonti scritte), ovvero lo stesso giorno e mese della nascita di Cechov (29 gennaio 1860), l’ispiratrice della Nina del Gabbiano e dell’Irina di Tre sorelle del drammaturgo russo: sul quale peraltro i cimiteri esercitavano «un certo fascino», rivela Facchinelli, tanto che nel 1884, ossia prima che visitasse Venezia (e probabilmente anche il camposanto di San Michele) per ben due volte (nel 1891 e nel 1894), nel corso dei suoi viaggi in Italia, scrisse un racconto intitolato appunto Il cimitero. Fin qui le tinte screziate di romanticismo gotico da cui – con il fantasma di Nina - prende le mosse il libro, per connotarsi subito, tuttavia, per ciò che realmente è: un’avvincente, struggente e vera storia d’amore (e di morte) altrimenti invisibile, perché cancellata dall’oblio, la cui memoria viene pazientemente ritessuta, nella sua sfilacciata e a tratti consunta, talvolta inafferrabile trama e ordito, dalla tenacia dell’autore, in una sorta di “pellegrinaggio del cuore” tra Italia e Russia (in cui anche i luoghi prendono vita come i protagonisti dell'incrocio di storie narrate) generativo di una miriade di significativi, e spesso risolutivi, incontri.

Incontri umani (come quello, iniziale, con una donna russa, Ljudmila, partita da Mosca per Venezia per rendere omaggio alla tomba di Brodskij e involontario tramite di un incredibile rinvenimento poetico, quasi un messaggio nella bottiglia del mare dei morti lasciato dalla pietas di un’altra donna russa, in onore e in ricordo del suo uomo Vadim Klevaev, poeta e storico dell’arte); ma anche incontri culturali in senso lato: al punto che, paradossalmente, questo libro è stato pubblicato prima in russo, a Mosca, per i tipi della Staraja Basmannaja e per la cura di Michail Talalaj, poi in olandese, ad Amsterdam, nella versione di Karin van Ingen Schenau in cofanetto corredato da un album di foto ispirate dal testo, e infine – dopo la sua lettura integrale a puntate, sul canale culturale della radio bielorussa, ad opera dell’attore Viktor Sulesko per la trasmissione “Biblioteca senza confini” – anche in Italia, consentendo intanto all’autore di parlarne a San Pietroburgo, Minsk, Elec per le celebrazioni dei 150 anni dalla nascita di Cechov, nel 2010, Mosca e perfino Omsk, città natale di Nina in Siberia.

Una fanciulla affascinante, Nina/Anna, di nobili origini e temperamento fiero e anticonvenzionale, che anche attraverso perizie grafologiche e una serie di incroci di fonti, documentarie e orali, Facchinelli ci fa scoprire e amare come lui l’ha amata, nella sua ricerca che alla stregua di un abile artigiano impegnato nella sfida di un arduo restauro di frammenti sparsi ha agito come nella pratica giapponese del Kintsugi, “riparare con l’oro”: ossia, riempiendo i vuoti tra i cocci di un vaso prezioso in frantumi, da ricostruire, saldandoli assieme con l’oro della fantasia e dell’immaginazione creatrice che può trasformare la realtà illuminandone le ombre: «Mi sembrava ingiusto – spiega l’autore - che la memoria di Nina cadesse nell'oblio, come è destino di milioni e milioni di persone che, come Anton Pavlovic Cechov fa dire ad Andrej nel quarto atto delle “Tre sorelle”, “mangiano, bevono, dormono, poi muoiono” senza lasciare una traccia, né un ricordo». Ma ciò che arriva a scoprire – e che non riveleremo per non “spoilerare” troppo il libro – al termine del suo viaggio, fisico e interiore, lo fai poi arrestare rispettosamente sulla soglia della verità svelata. Con una conclusione volutamente ineffabile e aperta: al solo scopo di non profanare – con inattuale signorilità – il diritto alla riservatezza di Nina, creatura amante e amata che da Facchinelli riceve così, oltre un secolo dopo la sua prematura scomparsa, un ennesimo omaggio. D’amore.
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