La Sanità di Rea, un rione
a Napoli che è utero urbano

La Sanità di Rea, un rione a Napoli che è utero urbano
di ​Silvio Perrella
Giovedì 13 Ottobre 2016, 12:50
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Morire lasciando un libro compiuto, perfettamente cesellato, eseguito in ogni dettaglio, dall'immagine di copertina al titolo. È quel che è accaduto ad Ermanno Rea con Nostalgia (Feltrinelli). Quella che si dispiega in questa narrazione a tornanti e a più strati, poliprospettica e compatta, è una storia che lo scrittore portava con sé da tempo. Di tanto in tanto la provava a voce e te la raccontava guardandoti negli occhi per capire che effetto facesse nell'ascoltatore. Come sempre, si era documentato con accanita perizia; era andato a sperimentare di persona quello che la sua storia gli dettava; si era legato di amicizia con persone che riteneva necessarie alla pertinenza emotiva di quel che stava prendendo forma nella sua immaginazione. E nel frattempo aveva scritto e pubblicato altri libri, ma mai abbandonando il filo che lo avrebbe condotto alla parola fine. I protagonisti sono due amici che intrecciano le loro vite sin da subito. Si chiamano Felice Lasco e Oreste Spasiano, detto Malommo. Il primo lascerà il suo luogo d'origine per andare lontano, in Medio Oriente e in Africa; il secondo s'incisterà come un tumore maligno, come un infestante olivastro, nel suo Rione. Le loro vite dunque avranno scenari diversi nei quali svolgersi, ma saranno sempre accomunate dall'origine sanguingua e carnale dell'origine, di un delitto che Oreste ha compiuto e che Felice ha sia pure indirettamente condiviso, essendone l'unico testimone. Sta di fatto che dopo quasi cinquantann'anni Felice Lasco decide di tornare a Napoli. Starà vicino alla madre che presto morirà e allo stesso tempo comincerà un dialogo tra il sé più intimo e i suoi luoghi natali. Si tratta di un ritorno, un vero ritorno: di quelli all'inizio perplessi e dolorosi, ma via via sempre più decisi e diramanti. Tra Felice e Oreste lo scrittore pone una voce narrante, individuata in un medico che ha da sempre lavorato nel quartiere e che ha convinzioni marxiste ed è allo stesso tempo un sodale convinto del lavoro di don Luigi Rega, il prete che è capace di mutare gli olivastri in olivi. E lo fa soprattutto con i ragazzi e le ragazze ai quali riesce a far intravvedere un presente possibile e vasto e soprattutto legale. Il rione o quartiere o origine o come si vuol nominare è la Sanità, che Rea descrive così: «ha forma di cuore, con la punta rivolta in basso, laddove i Vergini si biforcano in due strade: una che va a San Gennaro e l'altra via Cristallini che ascende la collina come una biscia lunga e sottile. Dai Vergini il cuore si allarga subito, delineando la sua inconfondibile forma triangolare attraversata, proprio come un cuore, da rami e rametti tra i quali un budello, chiamato vico Carrette, asse di collegamento tra via Cristallini e via Antesaecula, i due lati del triangolo». La Sanità in Nostalgia è personaggio tra i personaggi e si lega intimamente alla figura di don Luigi Rega (esemplata su don Antonio Loffredo). Come si evince dalla citazione, Rea (fate caso alla somiglianza dei due cognomi: in realtà Rea è Rega senza una g, ed Ermanno nelle sue ricerche aveva scoperto che la sua famiglia aveva mutato l'originario cognome per stemperare le proprie origini ebraiche) si è abbeverato a tutte le fonti possibili per dare della Sanità una descrizione veridica e pulsante. Una descrizione che non nega nessuno dei sui mali atavici, che però la slancia nel suo racconto come un equivalente del ventre materno, un utero urbano che potrebbe generare una città basata sulla fraternità, piuttosto che un sanguinoso luogo di guerre e di assassini. Una città che sigli un Patto delle Catacombe per portare alla luce se stessa dalle ombre del giù. Ermanno Rea inizia la sua storia dalla fine. Ci dice subito che Felice Lasco sarà ucciso da Oreste Spasiano. E da lì prende forma una narrazione serrata, a più livelli, dove a volte le voci dei protagonisti si avvicinano tra loro fino a sembrare la stessa voce. Non lesina di citare le sue fonti; in particolare rende quasi subito omaggio al lavoro di Italo Ferraro, citandone il suo prezioso «Atlante della Città Storica». E pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo (sono 35) svolge la sua inchiesta sul ritorno. Fa domande, si sofferma su dettagli, evoca odori e puzze, ritaglia figure e gesti (memorabili le pagine dedicate alla madre di Felice, che lui lava in una tinozza e quasi culla in un rito di congiungimento con chi ci ha dato la vita), scolpisce la vita del Rione, posta sotto il Ponte ottocentesco che l'ha separata dal resto della città. E chi legge non può smettere di leggere; non può farlo perché già dall'inizio capovolto sa che sarà condotto all'«arrivo di una vita». Sa che gli verrà mostrato con un inaspettato entusiasmo «quel certificato di nascita che per tanti me compreso è un destino». Ma badate bene, il destino di cui parla Rea è innervato di Storia; ha un nervosismo per nulla acquiescente. È semplicemente la presa d'atto di cosa significhi fare i conti con se stessi, sfidando anche la morte, ma non retrocedendo nemmeno di un millimetro dinanzi alla possibile illuminazione dell'origine. È, insomma, un inno laico alla nostalgia, quella parola che sembra «far parte del nostro bagaglio genetico, del nostro arcano di esseri umani».
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