Nicola Pugliese tra le voci della Napoli precaria

La temperie della stessa città di «Malacqua» ricompare negli otto racconti appena ripubblicati

Nicola Pugliese
Nicola Pugliese
di Ugo Cundari
Domenica 31 Marzo 2024, 08:00 - Ultimo agg. 1 Aprile, 16:13
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Può succedere che uno scrittore dia vita a un’immagine per raccontare cosa sia Napoli, per simboleggiare la sua caratteristica più profonda, la sua autentica essenza. Lo ha fatto anche Nicola Pugliese, che nacque a Milano nel 1944 e visse tutta la vita a Napoli per morire in provincia di Avellino nel 2012. Non nel suo romanzo più famoso, Malacqua, edito prima da Pironti nel 1977 e di recente da Bompiani, in cui Napoli crolla sotto una pioggia battente, ma in un racconto di poco più di una decina di pagine. Succede che nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre di un anno imprecisato, e quindi di ogni anno possibile, nel porto partenopeo scivoli una nave nera, anonima, in cui «la bandiera non compare affatto, così come non compaiono lungo le fiancate nome alcuno né sigla d’armatore né numero di registro, niente, niente di niente: questa presenza innegabilmente porta in sé il segno dell’assenza». È questo bastimento un simbolo inafferrabile e all’apparenza poco comprensibile, almeno all’inizio del racconto.

Le teorie 

I napoletani, vecchi e bambini, si interrogano su quale significato possa avere l’arrivo di una nave fantasma, senza equipaggio e anima viva. Ognuno ha la sua teoria. L’autore conclude: «La città se ne restò con questi dubbi e con questi interrogativi suoi. Eppure – occorre dirlo – precarietà ci avvelena da quel giorno». Precarietà, nei secoli passati o domani, di non avere mai certezza su quel che possa accadere nel giro di poche ore, un terremoto, un’eruzione, un bombardamento, lo sbarco di una nave che porta la peste. La storia, La nave nera, è anche il titolo della raccolta di otto racconti in uscita per Polidoro (pagine 112, euro 16) a una quindicina di anni dall’ultima edizione. Anche negli altri testi la precarietà è un elemento costante. In Agenda 1980 l’alba che si scorge sul mare è un momento «impreciso e precario». In Annunziata Osvaldo «quel giorno che gli riuscì di entrare nella Fabbrica, di entrare proprio in pianta stabile, regolarmente assunto e regolarmente remunerato come da collettivo contratto di lavoro, si sentì finalmente integrato in un rassicurante contesto».

Premessa fuorviante, perché a lungo andare Annunziata Osvaldo capirà, una volta colpito dalla «illuminazione, dalla folgorazione a carattere tecnologico, dallo sconvolgimento di concetti e idee che riteneva non solo fondati ma immodificabili», di essere uno dei tanti sfruttati, un ingranaggio «precariamente integrato nel Sistema della Grande Fabbrica».

La grande crisi 

In La grande crisi la maggioranza politica che regge le sorti del Comune di Napoli si scopre precaria, per sviare l’attenzione abolisce la festività del 25 dicembre. Niente più Natale. Ciononostante, benché «il Natale c’era da sempre, come gli scogli di Marechiaro e le barche di Mergellina, e una cosa che c’è da sempre è una cosa importante, e vitale», nessuno protesta, nessuno si oppone. Perché è dall’alba dei tempi, è da quando nel porto di Napoli entrano oscure navi fantasma, che i napoletani sanno che niente è immortale. 

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