La Napoli di Caravaggio e il mistero dei Girolamini secondo Falconio

La Napoli di Caravaggio e il mistero dei Girolamini secondo Falconio
di Ida Palisi
Martedì 28 Marzo 2017, 09:07
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Sregolato e rissoso, sdoppiato e in preda al costante sentimento della paura. Ma anche e soprattutto un genio a lavoro, in una Napoli del primo Seicento violenta e pericolosa, popolata da «gente che andava e veniva, di uomini di mare e malefemmine, di forestieri e locali» che per quasi un anno gli fece da patria. Dopo l'ultimo libro dedicato all'amore tra Ferrante D'Aragona e la sorella Eleonora, lo scrittore e notaio napoletano Dino Falconio torna a consultare archivi e documenti storici per scrivere di un pittore in fuga, a suo agio tra vicoli e taverne più che nei palazzi, di cui restituisce una rappresentazione originale e intensa nel romanzo La mattonella di Caravaggio (Cairo editore, pp. 171, euro 14) che presenta domani alle 18 nella Feltrinelli di Chiaia con Maurizio de Giovanni e Nicola Spinosa, introdotti da Stefano Papetti (letture di Mimmo Esposito e Maria Luisa Firpo).

Con una scrittura densa in cui la ricostruzione storica, dotta e puntuale, non è mai stucchevole ma è terra madre per un racconto fertile di spunti inediti sulla figura del Caravaggio, l'autore ne indaga la biografia napoletana, spingendosi su una pluralità di piani narrativi e su una dualità temporale snodata tra l'io narrante posizionato due secoli dopo le vicende partenopee del pittore, avvenute tra il 1606 e il 1607. Il trait d'union del romanzo è un enigma legato a una mattonella anomala, posizionata nel pavimento del chiostro maiolicato dell'Oratorio dei Girolamini: un pezzo unico che presenta la croce ottagonale di San Giovanni, simbolo dei Cavalieri di Malta, fra migliaia con la rosa dei venti. Solo la vecchia Titina che pulisce tutti i giorni il prezioso pavimento, ne conosce la storia, tramandata di generazione in generazione dalla sua famiglia e che lei, anziana e senza figli, decide di rivelare, facendosi narratrice di vicende a ritroso nel tempo, costruite attorno alla figura del pittore esule nella Napoli spagnola, per sfuggire alla condanna a morte in seguito all'uccisione del nobiluomo Ranuccio Tomassoni.

In questo anno di vita rocambolesca e sregolata, il Caravaggio descritto da Falconio è uomo tra gli uomini del suo tempo, e a più riprese nel libro si confonde tra il popolo, lo scruta e lo osserva, per poi ritrarlo nella sua dissonante umanità, quando presta il volto ad angeli e Madonne, a santi e mendicanti. «Il maestro pittore aveva un vestito nero di stoffa consunta, coperto da un mantello che si trascinava addosso senza cura. Come tanti napoletani era di mediocre statura, colori scuri, gli occhi e i capelli foschi, il cappello piumato o in testa o nella mano sinistra. Si confondeva senza disagio con la fiumana di gente e godeva di questa sua momentanea diluizione fra la folla».
Violento e fragile, omosessuale e donnaiolo, il Caravaggio di Falconio è, nell'Italia oscura della Controriforma, anche profondamente eretico, come Tommaso Campanella che nello stesso periodo era imprigionato a Castel Sant'Elmo e che l'autore fa incrociare con il suo protagonista (in realtà i due non si videro mai), colpito dalla sua filosofia eccentrica e dall'orrore umano di cui fu vittima. Attorno al pittore che esaltava i poveri e i diseredati nelle sue tele, lo scrittore restituisce una Napoli fatta di canzoni, ricette e personaggi, moltissimi aristocratici realmente esistiti e qualche lazzaro di fantasia, come il Gigante cui è legata la vicenda della mattonella, che si scoprirà solo alla fine. Il libro procede con un'alternanza di chiaroscuri ma, alla fine, come nei quadri del Caravaggio, a prevalere è il senso dell'estasi: lo slancio del genio verso la sua creazione vince sulle paure, sulla precarietà e la fuga. È puro abbandono.
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