Scrittore con la passione per il calcio,
Gaudio celebra Volponi

Scrittore con la passione per il calcio, Gaudio celebra Volponi
di Ciro Manzolillo
Martedì 28 Marzo 2017, 20:28
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Non passa facilmente per uno dei grandi della letteratura del Novecento. Ma Paolo Volponi (Urbino 1924 - Ancona 1994) fu uno scrittore-scrittore. A lui si deve tanto, sempre in prima linea nel leggere ed accogliere i segni dei tempi, nell'incoraggiare quei fermenti che potessero rinvigorire il Paese di cui scriveva «è sgangherato, ma non morto». Intellettuale problematico della sinistra (di cui fu per due legislature senatore) che, però, quando c'era da evidenziare il bisogno di giustizia sociale e concettualizzare la bellezza piaceva citare an Francesco. Oggi si avverte forte l'assenza di un certo fervore civile di cui sono stati portavoce uomini di pensiero e scrittura alla Volponi. Rivolse attenzione anche allo sport. E otto articoli (di cui due inediti) sono stati antologizzati, per la cura di Alessandro Gaudio, in «Paolo Volponi il linguaggio sportivo ed altri scritti 1956-1993» (Editrice Ad est dell'equatore). Piaceva lo sport in generale

Allo scrittore e poeta ma, come la maggior parte degli italiani, fu il calcio la sua passione. Una passione che sin da bambino si trasformò in fede per i colori di quel Bologna del presidente Dall'Ara che faceva tremare il mondo, vinceva gli scudetti e schierava atleti del calibro di Andreolo, Schiavo, Sansone, Reguzzoni e l'estroso Biavati, noto per la sua finta somigliante ad un doppio passo. Del Bologna, di cui era tifosissimo anche il suo amico Pier Paolo Pasolini (insieme andavano a vedere negli anni cinquanta le partite della Roma), Volponi scriverà ancora agli inizi degli anni novanta quando il club si troverà quasi sull'orlo del fallimento. Rimpiangerà i tempi mitici di Dall'Ara, la stagione sotto la guida di Fulvio Bernardini, lo scudetto, recriminerà su una società che faceva sempre più fatica a trattenere i suoi assi: Savoldi, Pecci, Mancini. Parole superlative spenderà per il suo idolo in assoluto, Ezio Pascutti, a cui affiderà pure una parte nel romanzo «Corporale». Vedeva la piccola ala sinistra nettamente più forte di Gigi Riva perché «aveva tutto, dribbling, velocità slalom e tiro».

Nel maggio del 1978, in un lungo articolo uscito su «La Città Futura», lo scrittore urbinate vestirà i panni del ct azzurro stilando una sua formazione per il mondiale di Argentina. Fuori i vari Zoff, Antognoni, Graziani, Causio, Scirea, schiererà: Bordon, Gentile, Cabrini, Pasinato, Manfredonia, Tardelli, Rossi, Pecci, Novellino, Buriani, Bettega. A mondiale terminato sulla stessa testata arà una verifica delle sue previsioni spostando il suo discorso su «una certa tendenza retorico-burocratica della nostra nazionale» dovuta «alla natura di strumento della squadra al servizio di poteri che corrispondono a quelli della classe dominante in cerca di quiete, appagamento, evasione, patti sociali...».

Il calciofilo Volponi, inoltre, arriverà a definire una micragnosa idea la staffetta Mazzola-Rivera, troppo fredde le telecronache di Nando Martellini, più convenienti, invece, le radiocronache di Niccolò Carosio in quanto permettevano di conoscere gli sviluppi di una partita e, al contempo, di mangiare, bere o fare altro. Negli inediti recuperati da Alessandro Gaudio, il calcio è visto metafora di quel sistema capitalistico che secondo Volponi «tanto sul versante politico quanto sul versante dello spirito che lo anima appare ormai alla deriva». Divertente, infine, si presenta un dialogo nel dattiloscritto che in parte confluirà nella versione definitiva del romanzo di ispirazione autobiografica «Le mosche del Capitale».

 
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