Emanuelli, dai «no» degli editori a 100mila copie in sette mesi

Roberto Emanuelli
Roberto Emanuelli
di Giovanna Di Giorgio
Sabato 2 Dicembre 2017, 08:39 - Ultimo agg. 11:13
4 Minuti di Lettura
Lui lo ha battezzato «Siamo solo per pochi Tour». In realtà, da quando il suo E allora baciami (Rizzoli), lo scorso aprile, ha visto la luce, Roberto Emanuelli ha iniziato a far su e giù per lo Stivale senza fermarsi più. Tappa dopo tappa, lo scrittore romano, classe 1978, ha dispensato parole e dediche a migliaia di fan. Già, perché ai 300mila che lo seguono su Facebook e Instagram - per lo più donne - non basta leggerlo. Vogliono incontrarlo, guardarlo negli occhi, parlarci. Vogliono ascoltare la sua voce e la sua storia. La storia di chi «sbam», sbatte contro la durezza della vita, ne raccoglie i pezzi e li ricompone in un mosaico di bellezza. La storia di chi, dopo un «voltafaccia» a se stesso che lo stava facendo «morire giorno dopo giorno», riagguanta il suo essere autentico e torna sulla sua strada. Una strada che, lontana dalla finanza, dal lusso e dal Clk Cabrio, gli era sempre stata «davanti gli occhi». Doveva solo trovare il coraggio d’imboccarla. Sfidando pure i «no» dei grandi editori fino a trasformali in 100mila copie vendute in sette mesi. E adesso che ha iniziato a percorrerla, la sua strada, Roberto Emanuelli non si ferma più. Farà solo una piccola pausa dopo la chiusura del tour, il 3 dicembre, ore 17.30, al Centro commerciale Campania di Marcianise.

Ottanta tappe, su e giù per l’Italia, isole incluse. Perché ha scelto di chiudere il tour proprio in Campania?
«Perché c’è una grandissima fetta di pubblico che è campana. Tra l’altro la Campania è un posto meraviglioso, ho voluto chiudere in bellezza, con un tocco di colore che può arrivare solo da Napoli e dintorni. E in una location adatta all’evento».

Sta dicendo che non sarà la classica presentazione del romanzo?
«No, sarà una piccola festa, con la playlist del romanzo che girerà. Qualcosa di molto diverso».

Quando è uscito E allora baciami, avrebbe mai pensato a un tale successo?
«Non me lo potevo aspettare, non se lo aspettava nessuno. Speravo che il romanzo potesse piacere, ma non mi aspettavo di vendere 100mila copie. Come tutte le cose belle, è difficile elaborarle a tavolino».

Il suo romanzo è rimasto nelle classifiche dei libri più venduti per più di sei mesi, eppure la critica non la ama. Le spiegazioni possono essere molteplici, ma lei quale si dà?
«Per fortuna, per critica che mi odia parliamo di poche voci. E a mio parere alcune di loro il libro neppure lo hanno letto. Inoltre, io ho fatto un percorso diverso da quello tradizionale, che ad alcuni può dare fastidio e ad altri è sconosciuto al punto che non mi riescono a inquadrare. E quando non s’inquadra qualcosa, quasi sempre si tenta di attaccarla, aggredirla, criticarla. Poi, a qualcuno non piace davvero quello che scrivo».

Non è che sconta pure il pregiudizio di chi sottovaluta il parlare d’amore?
«Sì, moltissimo. Per alcuni la copertina del libro è stata oggetto di pregiudizio. In altri casi, alcuni sanno che è un libro che parla d’amore senza averlo letto. Se lo leggessero saprebbero che parla anche d’amore ma non solo d’amore. Spesso si liquida tutto come sentimentalismo stucchevole e noioso».

Beh, il romanzo tratta di altri argomenti, a iniziare dal rapporto conflittuale tra padre e figlia…
«Sì, tratta anche di amicizia, abbandono, viaggio metaforico e fisico. Sono tanti gli argomenti. Poi, che io li abbia trattati bene o male non sta a me dirlo. Ma il punto è che non parla solo d’amore».

Il viaggio per l’Italia è stato un viaggio fatto parallelamente con quella che chiama la sua «famiglia», la comunità social da cui è iniziata la sua storia e con cui ha instaurato un legame per certi aspetti viscerale. Cose le dicono i lettori?
«Il filo conduttore è sempre lo stesso: identificazione in quello che scrivo, nei sentimenti che rappresento, nelle emozioni che scaturiscono dalle mie parole. Le persone hanno capito che io ci sto mettendo tutta la mia vita e lo apprezzano. C’è un po’ il sogno nel sogno di chi si è buttato in qualcosa mettendoci la faccia. Tanti mi dicono pure che il mio libro li ha aiutati a riflettere sulla propria vita, sulla propria esistenza, sulle proprie relazioni sentimentali e sul rapporto con i propri genitori».

Che pensa quando le arrivano foto con i tatuaggi delle sue frasi?
«Inizialmente mi sentivo responsabile, la cosa mi metteva un po’ d’ansia. Adesso ho capito che, in fondo, quei concetti quando li fai tuoi sono i tuoi. Le frasi, cioè, non sono più mie, ma di chi decide di tatuarsele. Quindi ora è un motivo di orgoglio».

Sempre per Rizzoli, a febbraio uscirà il nuovo libro, che poi è il suo primo romanzo. Quello, insomma, da cui tutto è partito…
«Sì, la nuova edizione di Davanti agli occhi. Uscirà con delle integrazioni, inalterato dal punto di vista della storia e del concetto. Ma emergerà una delle voci che non era emersa forte nella prima versione…».

Lei che passa da Kafka a Hornby, da Roth a Murakami e a Paolo Sorrentino, che libro ha in questo momento sul comodino?
«In realtà ne ho comprati così tanti ultimamente e non ne ho letto ancora nemmeno uno. Però sto finendo di leggere Open, l’autobiografia di Andre Agassi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA