Castiglione indaga nei segreti di uno scrittore in fuga

Castiglione indaga nei segreti di uno scrittore in fuga
di Fabrizio Coscia
Martedì 14 Agosto 2018, 14:47 - Ultimo agg. 15 Agosto, 16:37
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Che cosa spinge uno scrittore a scegliere il silenzio? A smettere di scrivere? La storia letteraria è piena di questi casi, il più eclatante dei quali è il gran rifiuto di Arthur Rimbaud, che a vent'anni si lasciò la poesia alle spalle per farsi mercante di armi in Africa orientale. Si pensi, anche, a Juan Rulfo, il più grande scrittore messicano, autore di un romanzo breve (il capolavoro Pedro Paramo) e di una raccolta di racconti, che decise di smettere per sempre, rispondendo a chi gliene chiedeva il motivo: «Perché è morto lo zio Celerino, quello che mi raccontava le storie»; o a Robert Walser, che passò gli ultimi venti anni della sua vita in un manicomio senza più scrivere nulla. Gli esempi potrebbero continuare, ma la domanda resta inevasa. Perché uno scrittore, perfino all'apice del suo successo, smette di scrivere?

È quello che cerca di capire anche la giovane reporter Elisa, protagonista del romanzo del giornalista de «Il Mattino» Corrado Castiglione, Niente da fare (goWare, pagg. 275, euro 9,99), incentrato proprio sulla figura di uno scrittore americano di successo, il personaggio di fantasia Rudolph Key Lee, che all'improvviso sparisce senza lasciare traccia di sé. Elisa deve scoprire, dunque, cosa si nasconde dietro la fuga e il silenzio dello scrittore, «giunto alla conclusione che le parole fossero finite e che ormai non c'era più verso di inventarne di nuove». Di lui, all'inizio, sappiamo solo che ha rotto con la sua compagna (che, essendo anche il suo editore, gli ha intentato una causa per plagio), e che sua figlia Corinne è stata uccisa da un automobilista ubriaco dieci anni prima. Non è difficile comprendere, allora, che dietro la fuga di Rudolph in una casa in collina vicino Tucson, in Arizona, non ci sia solo la convinzione più volte ribadita che Shakespeare abbia già detto tutto molto bene, ma soprattutto questa tragedia personale e l'incapacità di elaborarne il lutto. La consapevolezza, cioè, che le parole e la letteratura si rivelano inutili di fronte al dolore della vita.

L'indagine della giornalista negli Stati Uniti (siamo all'inizio del mandato di Obama) procede così con capitoli in prima persona alternati scorrevolmente alla storia dell'incontro di Rudolph, nel suo buen retiro ai confini del Messico, con una giovane armena psicomaga tantrista e molto new age, che invece crede nella salvezza delle parole, e con gli attivisti oppositori della controversa legge sull'immigrazione firmata dalla governatrice dell'Arizona Jan Brewer. Finché i colloqui con l'ultimo intervistatore di Rudolph, con la sua ex moglie, con l'ex compagna, e con il suo analista portano Elisa a scoprire finalmente dove si trova lo scrittore e il vero motivo del suo nascondimento. Ma il finale (che non riveleremo) le riserverà più di una sorpresa.
 
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