Castelporziano con Cordelli
ritorna l'estate dei poeti

Castelporziano con Cordelli ritorna l'estate dei poeti
di Stefano Gallerani
Lunedì 7 Novembre 2016, 08:38
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Castelporziano, litorale romano, tra Fiumicino e Pomezia. Qui, dal 28 al 30 giugno del 1979, su un palco approntato per l'occasione sulla spiaggia, si consuma l'ultimo capitolo della storia artistica degli anni Settanta. Chiamati a raccolta da Simone Carella, Ulisse Benedetti e Franco Cordelli, tra le dune poeti italiani (Dario Bellezza, Valentino Zeichen e Antonio Porta tra gli altri) e stranieri (Amiri Baraka o Allen Ginsberg, William Burroughs o David Gascoyne e molti, molti altri) si ritrovano ad affrontare un'inaspettata folla di persone (mille la prima sera, tremila l'ultima). Come scrive Andrea Cortellessa, curatore della fresca ristampa di Proprietà perduta (L'Orma editore, «fuoriformato», pagine 263, euro 24), dello stesso Cordelli, «la poesia, da stanza separata per anime elette, d'improvviso si fa moda, fenomeno di costume, isteria collettiva». Pure, a distanza di oltre 30 anni, cosa rimane di quell'esperienza senza precedenti? E cosa rappresenta, ancora, il testo di Cordelli?
Alla prima domanda è quasi impossibile rispondere se non generalizzando sui massimi sistemi della cultura contemporanea; la seconda, invece, può trovare la sua più coerente risposta proprio in quelle pagine pubblicate per la prima volta da Guanda nel 1983 (ovvero dopo quasi quattro anni di decantazione).

Diario a posteriori, scritto non nell'immediatezza ma quasi, Proprietà perduta (che deve il titolo all'opera del protagonista di uno dei più fantastici e germinali libri di Vladimir Nabokov, La vera vita di Sebastian Knight) brucia quel fenomeno con una prosa che recupera, indaga, spiazza con scarti continui (di punti di vista, di orizzonti) e procede per strappi; nei paragrafi che si susseguono quasi senza soluzione di continuità nelle due parti e otto capitoli che lo compongono, l'autore di Una sostanza sottile passa d'improvviso dalla prima alla terza persona, osserva e si osserva, ricorda e si contraddice («non amando i ricordi, anzi non avendo memoria e dovendo tutto ricostruire»). Gli episodi si susseguono e la cronaca si confonde con il commento, con il bilancio: «La stabilità sta calando sul mondo. Temo che si tratti di una stabilità necessaria, di una guarigione dell'ambiente, di un'accettazione dei limiti, di una pax atomica». Ma sotto la cenere della frase si tiene caldo il senso di quei giorni (e di quegli anni, come, nel 1978, Cordelli aveva già fatto con Il poeta postumo, altro rendiconto di quattro mesi di sbornie poetiche al Teatro Beat 72 di Roma): «mentre dico addio a Satana e a Faust, condivido la loro rabbia eterna contro la fine dell'onnipotenza». Un senso che eccede se stesso, fronteggia la smania teorica del decennio precedente con la forza della presenza fisica (in senso tanto naturalistico che filosofico) e già si misura col tempo a venire; col tempo che già è arrivato. Quello stesso tempo che è ancora il nostro: un tempo per vedere il quale si dimostrano indispensabili, ora più che allora, il paio di occhiali che ci fornisce un libro che, per forma e forza, non è azzardato leggere come uno dei pochi «romanzi contemporanei». Per certi versi il primo. Per altri, quasi necessariamente, l'ultimo.