La cattura di Zagaria: il boss «venduto» per 50mila euro

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di Mary Liguori e Marilù Musto
Giovedì 15 Giugno 2017, 13:20 - Ultimo agg. 17:50
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CASERTA - Se i misteri che ruotano intorno alla cattura di Michele Zagaria si infittiscono con il passare degli anni, da oggi si conosce il costo dell’operazione che portò a stanare il capo dei capi dei Casalesi. Quarantamila euro, intascati da un informatore. E 10mila euro concessi a una donna. Ma forse non finisce qui. Con 40 mila euro fu, certamente, ricompensato, 14 giorni dopo lo storico arresto del 7 dicembre del 2011, il confidente della polizia che aiutò gli agenti della Mobile di Napoli a mettere le mani sulla ex primula rossa.

Un confidente vicino ai vivandieri di Michele Zagaria, fidatissimo. Almeno così pensava di lui il boss che fuggiva alla cattura da 17 anni. Zagaria, nel 2015, finisce di nuovo sulle prime pagine per la spy story della pen drive sparita dal covo. E ora fa da protagonista nella possibile pista del cryptex, uno strumento che potrebbe contenere la lista top secret del boss, mai ritrovata. A 6 anni di distanza da quell’arresto, sembra di vederlo in carcere, Zagaria: con la testa pendente da un lato, lo sguardo vispo dietro gli occhialini, sorridere sornione perché mentre tutti si affannavano a cercare la pen drive a forma di cuore, quella che per la Dda conteneva i suoi segreti, il codice del «capo dei capi» era al sicuro, chissà come, forse davvero chiuso nel cryptex trovato, sfilato e nascosto, ancora, mentre la polizia setacciava il bunker di via Mascagni a Casapesenna.

Lui che arrivò in carcere a Parma con 1400 euro in tasca potrebbe aver portato con sé altro, sfuggito ai controlli. Perché, e lo scrivono i giudici del Riesame che rigettano per la seconda volta l’arresto del poliziotto Oscar Vesevo, se è vero che non vi è prova che quest’ultimo abbia preso la pennetta, è anche vero - e lo scrivono i giudici - che il boss poteva contare su poliziotti infedeli. I magistrati definiscono Vesevo «contiguo al clan». Dunque, la fedeltà di «divise sporche» e il tradimento di un uomo di fiducia avrebbero portato Zagaria nella tana della polizia. Non senza pagare.

Andò così: un uomo vicino al capo dei capi, incontrato «per caso» dagli agenti al centro commerciale Jambo di Trentola - si legge nell’informativa del 22 novembre 2011 - imbeccò la polizia e fu ricompensato con 40mila, in quanto fonte confidenziale. A testimoniarlo c’è la sua firma su un atto investigativo depositato ai giudici del tribunale di Napoli nord. Certo, il «pagamento» era avvenuto non prima di aver incontrato Oscar Vesevo a Cassino e a San Vittore, per confermare le informazioni rilasciate al Jambo. È questo uno dei rarissimi casi in cui negli atti di un processo, il processo Medea, confluiscono carte riservate, documenti che alzano un velo sul misterioso mondo dei confidenti, le fonti della polizia giudiziaria. C’è la ricevuta di pagamento dell’uomo-chiave della cattura di Zagaria, ma anche quella di una donna, che pure fu ricompensata con 10mila euro per aver dato un importante contributo alle ricerche del camorrista. Ma si parla anche di un professionista che avrebbe fatto da confidente per la polizia. Lo racconta il pentito Luigi Cassandra, titolare del complesso Night and Day ed ex assessore del comune di Trentola Ducenta. E poi c’è il capitolo delle «talpe» interne alla polizia. A spiegarlo, nelle 73 pagine del rigetto della misura cautelare per l’agente Vesevo, sono i magistrati del Riesame, presidente Nicola Quatrano, che inseriscono agli atti le confessioni di Cassandra. L’ex scudo politico trentolese di Zagaria ha spiegato che il poliziotto Vesevo tra il 2008 e il 2009 chiese e ottenne dall’allora sindaco di Trentola Ducenta, Nicola Pagano, la nomina del cugino a revisore dei conti al Comune. Con l’onda violenta dal boss stragista Giuseppe Setola, nel 2008, il commercialista Vesevo si vide piazzare fuori casa una bomba. «Mi recai da Zagaria - spiega Cassandra nel verbale - il quale mi disse che era opera di Setola, ma mi assicurò che la bomba non era rivolta a Oscar il poliziotto, che definì “una brava persona”, nel senso che non gli dava fastidio». Di lì a poco, però, Cassandra avrebbe poi sospettato che probabilmente c’era un filo rosso che legava il latitante al sistema deviato negli apparati di polizia. «Una volta Vesevo mi portò in questura a Napoli con Renato Roberto, un altro agente - racconta ai magistrati della Dda - lì c’era il capo della squadra mobile, Vittorio Pisani, il quale mi disse: dov’è Michele? Io risposi che lo avevo appena lasciato in municipio a Trentola Ducenta, riferendomi al sindaco Michele Griffo. Pisani rispose che si riferiva a Zagaria. A quel punto dissi che il boss faceva il parcheggiatore davanti alla torre Eiffel di Parigi».

Dopo qualche tempo, però, Cassandra incontrò Giovanni Garofalo «il quale - aggiunge Cassandra - riferì che Zagaria si complimentava con me per il silenzio mantenuto con Pisani. Anzi, mi aggiunse che con tono scherzoso gli avevo anche dato il ruolo di parcheggiatore a Parigi. Alla luce di ciò, pensai che a rivelare i contenuti della conversazione fosse stato Vesevo». E a Vesevo Cassandra avrebbe anche dato duemila euro nel bar Fluke ad Aversa. Infine, Cassandra affronta il capitolo delle elezioni e il pentimento di Pasquale Pagano: «Gaetano Balivo mi aveva garantito che non avrei dovuto temere Pagano - dice Cassandra - ma nei verbali in un mio precedente processo capii che Pagano aveva fatto il nome mio, quello di Griffo, ma non quello di Balivo. Ci riunimmo da Griffo e Balivo mi disse che mi avrebbe fatto sapere. Anche lui aveva contatti con Vesevo. Fummo poi arrestati». Contatti importanti, stando ai giudici, aveva un semplice poliziotto come Vesevo. Spuntano, infatti, telefonate al titolare di un mobilificio, Lucio Giordano, cognato di Balivo che i Ros documentano, ma anche con Ubaldo Caprio. Non solo. Stando a Cassandra, durante le consultazioni elettorali a Trentola Ducenta, la polizia avrebbe identificato davanti ai seggi solo coloro che non facevano parte della coalizione di Griffo. Fin qui la politica. Ma ci sarebbe anche un tentativo da parte di Vesevo di gestire il pentimento di Restina: «Mi disse di non parlare Maurizio Capoluongo», racconta l’ex vivandiere.
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