Uccisa dopo love story col boss
la figlia di Belforte: «Chiedo verità»

Maria Buttone, Angela Gentile e Domenico Belforte
Maria Buttone, Angela Gentile e Domenico Belforte
di Mary Liguori
Giovedì 7 Dicembre 2017, 12:35 - Ultimo agg. 8 Dicembre, 10:18
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Se dalla Sicilia parte il brand «Zu Totò» targato Maria Concetta Riina e dedicato al padre capomafia morto di recente, dalla Campania, la figlia del boss di Marcianise si fa promotrice di un'iniziativa diametralmente opposta. Chiede verità e giustizia per la morte di sua madre,  uccisa ventisei anni fa proprio perché ebbe una love story col camorrista Domenico Belforte, relazione dalla quale nacque la ragazza che oggi chiede giustizia. 
Quello della figlia del boss è un appello a «fare chiarezza, chiunque sia stato» a stabilire «cosa è veramente successo» il 28 ottobre del 1991, quando sua madre, Angela Gentile, è scomparsa come inghiottita nel nulla. Poche parole, centellinate, quelle della figlia della donna assassinata per essere stata l’amante del boss di Marcianise e per avere avuto una figlia da lui. 

Accetta di parlare con Il Mattino, ma preferisce non commentare gli scenari investigativi che sono emersi negli ultimi giorni, quando la Dda ha ufficializzato che per la morte di Angela sono indagati il boss Domenico Belforte e la moglie, Maria Buttone. Comprensibile che la figlia della vittima si rifiuti di commentare, che viva con incredulità e rinnovato dolore quanto sta emergendo, visto che Belforte è suo padre e la Buttone l’ha allevata, da quando aveva tredici anni, come fosse stata sua figlia. E visto che, fino a pochi giorni fa, la moglie del capoclan viveva in casa sua, a Rimini. «Sono giorni difficili, molto pesanti, come comprenderà», aggiunge. «Siamo solo vittime di tutto ciò, io e la mia famiglia».

Vittime, perché se i suoi figli non conosceranno mai la loro nonna, è perché qualcuno ha fatto sparire Angela dalla circolazione quando aveva solo trentatré anni. Qualcuno che, secondo la Dda di Napoli, ha poi accudito sua figlia perché, avrebbe detto la Buttone al pentito Michele Froncillo, che oggi la accusa, «i figli non hanno colpe». Per cui pattuì col marito che avrebbe allevato la figlia illegittima se avesse tolto di mezzo sua madre. Per questo, dopo l’eliminazione di Angela, sua figlia fu portata a casa dei Belforte. All’epoca la piccola piangeva, «voleva tornare dalla nonna materna, tanto che, - spiegano solo oggi gli zii, fratelli e sorelle di Angela - i Belforte ci chiamarono più volte per andare a tranquillizzarla, ma ci dicevano di lasciarla con loro perché erano ricchi e le avrebbero dato un futuro migliore di quello che avremmo potuto darle noi, che di certo non navigavamo nell’oro. Non ci siamo mai opposti perché avevamo paura di loro».

Eppure, vien da chiedersi, come sia stato possibile che una ragazzina di soli tredici anni sia stata «adottata» senza alcun atto formale da una famiglia di estranei, visto che, sulla carta, Mimì Belforte non l’ha mai riconosciuta tanto che il nome della piccola Gentile figura sullo stato di famiglia del boss solo a partire dal suo diciottesimo anno di età. Anche a questa misteriosa adozione la squadra mobile di Caserta delegata all’inchiesta sulla lupara bianca, ha cercato di dare una risposta. «I Belforte - si legge negli atti - hanno preteso, senza incontrare alcun ostacolo, di crescere la figlia di Angela Gentile, alla luce del fatto che era una Belforte, nata prima del matrimonio di Mimì Belforte con la Buttone». Tale pretesa trova un’ulteriore conferma in un passaggio dell’annotazione che fu redatta dall’Ufficio Minori della Divisione Anticrimine che, eseguendo degli accertamenti ordinati dal pm Antimafia Amodeo nel 1998, redigeva la seguente relazione: «Nel 1992, la moglie e la madre di Domenico Belforte si presentarono presso gli assistenti sociali della provincia. Le due, per conto dello stesso Belforte, padre della bambina, ne chiesero l’affidamento. A tale richiesta le assistenti sociali, che non hanno mai informato il Tribunale per i Minorenni di Napoli, produssero un’istanza al Giudice Tutelare di Caserta per la nomina di un tutore per la minore: la pratica non ha avuto nessun esito». Ma la ragazzina rimase a Marcianise fino a quando non si è trasferita, ormai adulta e sposata, in Emilia Romagna, dove tutt’ora vive.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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