Terrorismo, Khemiri si difende: «Io
dissociato». Ma non ci sono prove

Terrorismo, Khemiri si difende: «Io dissociato». Ma non ci sono prove
di Marilù Musto
Martedì 9 Agosto 2016, 08:44
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Caserta. «Mi sono allontanato dalle logiche dei terroristi nel momento in cui l’Isis ha iniziato a colpire innocenti. Fino a quando il conflitto si è svolto nei confini della Siria per sconfiggere la dittatura di Assad, non escludo che io abbia patteggiato per il gruppo anti-Assad dell’Isis». Vicinanza «politica» contro il governo del dittatore Bashar al-Assad, poi la dissociazione dall’autoproclamato Stato Islamico: questa è la linea difensiva di Mohammed Kamel Eddimi Khemiri, il tunisino che inneggiava «alla sconfitta dei cristiani» su facebook, accusato di essere un simpatizzante dei terroristi islamici dalla magistratura napoletana. Khemiri, ieri mattina, si è presentato all’interrogatorio di garanzia in camicia bianca e pantaloni scuri, per nulla provato dai quattro giorni di carcere in isolamento nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Ha risposto alle domande del giudice Gabriella Casella e del procuratore aggiunto Antonio D’Amato in maniera precisa, indicando Nasser Hidouri, l’imam della moschea di San Marellino, come un «uomo buono e di pace, completamente all’oscuro delle sue simpatie politiche». Perché anche su Nasser sarebbero state fatte domande dai magistrati. Tutto chiaro: Khemiri, da San Marcellino, «tifava» per i terroristi ma per pura fede politica.

Peccato per lui che della presunta dissociazione dall’Isis non si hanno tracce nei documenti sequestrati dai carabinieri del comando provinciale di Caserta e dei Ros, i quali, invece, stanno studiando un quaderno sequestrato nell’appartamento di Khemiri - locale situato appena sopra la moschea di via Starza - con scritte arabe in cui comparirebbe la contabilità della moschea (della quale il tunisino pare fosse il custode) oppure i nomi degli stranieri che avevano utilizzato documenti falsi.
La moschea di San Marcellino resta al centro delle polemiche degli ultimi giorni, ma categoricamente fuori dall’inchiesta della magistratura napoletana, rassicurano fonti ufficiali. Le frasi di odio pubblicate sui social network dal tunisino contro i giornalisti e vignettisti di Charlie Hebdo uccisi un anno e mezzo fa a Parigi, fotografano una visione diversa di Khemiri della lotta ai miscredenti. «Se sono liberi di prenderci in giro, noi siamo liberi di reagire», aveva sentenziato. Proprio lui, il «Bin Laden» della piccola comunità islamica di San Marcellino aveva commentato in maniera sospetta anche l’uccisione del pilota giordano Muad Kasasbeah divorato dalle fiamme nel 2015. Il quaderno nelle mani dei Ros è ora finito in Procura a Napoli e potrebbe svelare la rete fitta di contatti di Khemiri con altri immigrati in Italia e in Francia.

E in Provenza sono fuggiti due uomini colpiti dall’ordinanza del gip Casella accusati di aver utilizzato i falsi documenti presentati in Questura per ottenere permessi di soggiorno in Italia.

Dalla jihad alla pratica per truffare lo Stato italiano il passo è breve. Khemiri è, infatti, in carcere solo per l’accusa di aver procurato fatture false ai suoi amici tunisini. L’indagine sul terrorismo è finita sullo sfondo dopo il «no» all’arresto di Khemiri del gip di Napoli, pronunciato per ben due volte. La leva per alzare il polverone sulla cellula casertana dell’Isis si basa sulle ricevute fiscali fornite in Questura a Caserta dal tunisino per dimostrare l’occupazione lavorativa degli immigrati in Italia. Falsa, ovviamente.

Khemiri, in Italia dal 2005, era un punto di riferimento per i tunisini di San Marcellino. Ora è un uomo solo. Ieri, il suo avvocato di fiducia non si è presentato all’interrogatorio di garanzia. È stata, dunque, richiesta la presenza di un legale d’ufficio, l’avvocato Giancarla De Stavola, confermata nella difesa da Khemiri assieme all’avvocato Francesca Caccavale. Per la Procura di Santa Maria Capua Vetere Mohammed, l’indagato era il primo «gancio» dei profughi per approdare in Occidente. E lui, davanti ai giudici, ieri, ha ammesso di aver procurato documenti e fatture false: «Ma l’ho fatto solo per aiutare due miei amici a restare in Italia, non sono un trafficante di uomini», ha dichiarato. Dichiarazioni che ora saranno trasmesse alla Procura di Napoli che indaga sulla cellula italiana dell’Isis in Italia.
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