Sterminò famiglia, ma il gip fa tardi
e il boss muore prima dell'arresto

Sterminò famiglia, ma il gip fa tardi e il boss muore prima dell'arresto
di Mary Liguori
Martedì 9 Ottobre 2018, 07:00
3 Minuti di Lettura
La morte è una livella. Nel bene come nel male. E a 36 anni di distanza da uno dei casi di cronaca più efferati degli anni 80, la richiesta di archiviazione firmata per forza di cose dalla Procura, mette una pietra tombale sulle responsabilità per l’assassinio di quattro innocenti. La strage della famiglia Martino resterà impunita perché l’unico indagato è morto prima che il gip decidesse se dare seguito oppure no alla richiesta di arresto firmata più di un anno fa dai pm di Santa Maria Capua Vetere. L’unico sospettato per quel bagno di sangue, il boss Luigi Venosa, è deceduto il 7 agosto 2018. L’istanza era stata presentata il 27 giugno del 2017. Non è mai giunta a un dunque, ma agli atti della richiesta di archiviazione è chiaro quanto accadde il 7 settembre del 1982. È chiaro da quanto raccontano i pentiti. Non ci saranno processi, ma almeno un barlume di verità. 

IL BAGNO DI SANGUE
Venosa, trentenne nel 1982, noto come «il cocchiere», vagava per le campagne di San Cipriano e Casapesenna. Sul finire di agosto, ebbe un alterco con l’agricoltore Gioacchino Martino che lo trovò nel suo casolare e lo cacciò via nonostante fosse già nota all’epoca la sua caratura criminale. Per Venosa fu un affronto e in quanto tale andava lavato col sangue: tornò nel casolare con un fucile e una pistola e commise una carneficina. Uccise Martino, il figlio Francesco Saverio, la moglie, Angelina Falco, e un bracciante agricolo, Armando Clausino. Si salvò, nascondendosi in un camino, un secondo contadino, Giacomo Nobis, ma per lui da quel momento iniziò un incubo. Fu arrestato e processato per la strage. E assolto in tutti e tre i gradi di giudizio. La strage dei Martino fece clamore anche negli ambienti criminali. All’epoca dei fatti era Antonio Bardellino a dettare legge nel Casalese. E decise che per quel sangue innocente Venosa doveva pagare con la vita. Ma Mario Iovine, altro pezzo da novanta della malavita di quei tempi, difese il giovane «cocchiere» che ebbe salva la vita. Iovine, trovato morto qualche anno dopo in una cabina telefonica in Portogallo, è indicato nella sentenza Spartacus come l’assassino di Bardellino, il cui corpo però non è mai stato trovato. Ma questa è un’altra storia. Venosa, dopo i Martino, avrebbe ucciso e fatto assassinare altre decine di persone. Per la strage però non è mai stato formalmente indagato ed è morto prima che le conclusione dei pm lo raggiungessero in cella dove era già all’ergastolo, salvo uscirne per esalare in casa l’ultimo respiro, autorizzato a sorpresa dopo la pioggia di istanze dei familiari. Non solo. La parrocchia di San Cipriano aveva autorizzato anche i funerali pubblici, bloccati dal questore di Caserta e dalle proteste dei familiari delle vittime di Venosa. Fatti dell’estate scorsa. Dopo l’assoluzione dell’innocente Nobis, l’inchiesta si arenò su un binario morto. A chiedere giustizia, senza mai fermarsi, il superstite della famiglia Martino, il secondogenito che si salvò perché quel giorno era a scuola per un esame di riparazione: era stato rimandato in una materia.

LE NUOVE INDAGINI 
Dal 2016, finalmente, sono riprese le attività investigative, coordinate dalla Procura diretta da Maria Antonietta Troncone perché all’epoca dei fatti la Dda non era ancora costituita. I carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta, con a capo il tenente colonnello Nicola Mirante, hanno ascoltato numerosi pentiti e hanno analizzato quanto raccolto all’epoca per chiarire quanto di coerente ci fosse nel racconto dei collaboratori. Un lavoro che, in meno di un anno, si è concretizzato nelle mani del pm Alessandro di Vico in una richiesta di misura cautelare per Venosa. Richiesta che, come detto, è rimasta lettera morta. «Le indagini hanno preso le mosse dall’esigenza di colmare le lacune investigativa determinate dal mancato approfondimento di una serie di notizie di reato scaturenti dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e relative a una serie di omicidi risalenti ai primi anni ‘80», ha spiegato il procuratore Troncone. Venosa è morto prima di un eventuale processo, ma la verità, reale o presunta che sia, non è riuscito a portarsela nella tomba. 
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