La realtà dopo anni di veleni e ritardi:
«Si può solo mettere in sicurezza»

La realtà dopo anni di veleni e ritardi: «Si può solo mettere in sicurezza»
di Marilù Musto
Giovedì 5 Luglio 2018, 08:37 - Ultimo agg. 09:26
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«Bonifica è una parola un po’ ingombrante, parliamo di messa in sicurezza». Girare intorno alle parole è un meccanismo che permette di spiegare meglio cosa sta succedendo sul sito della Resit, l’invaso di veleni sulla linea di confine fra Giuliano e Parete, un tempo appartenuto all’imprenditore Cipriano Chianese. «La bonifica è il ripristino dei luoghi, impossibile in questo caso», spiega Mario De Biasio, il commissario incaricato di gestire l’operazione. E quindi, meglio piantare alberi sulla discarica profonda 27 metri per un milione di metri cubi di rifiuti, spalmati lungo sei ettari di terreno. Il tutto, per un costo di quattro milioni.

Solo che, per un punto a favore della «messa in sicurezza», ce ne sono altri 20, 30 che restano lì, come tanti punti neri in attesa di bonifica. O qualcosa di simile. Come la ex fabbrica Pozzi Ginori di Calvi Risorta, una discarica grande 10 campi di calcio, in territorio sidicino. Nel cuore della storia campana, dove le popolazioni italiche, vicine dei Sanniti, piantarono il seme della civiltà, ora c’è un enorme contenitore di ammassi di rifiuti speciali lasciati lì dall’azienda leader nella ceramica da bagno, poi delocalizzata.
 
Nel corso di 20 anni, in quel luogo-non luogo, i trafficanti di rifiuti di varie parti d’Europa hanno scaricato di tutto. Una notte sì e l’altra pure. Fino a occupare 47 ettari di campagna. Prima ancora, ci aveva pensato la Pozzi Ginori a lasciare scarti di lavorazione, complice una normativa monca di un obbligo di pulizia dei luoghi. La verità è che per avvicinarsi alla discarica, adesso, c’è bisogno di maschere per l’ossigeno e guanti. Ci avevano provato i carabinieri della forestale, un anno fa, quando censirono i fusti di vernice provenienti dall’estero in quei 47 ettari. Allo stato, la Pozzi Ginori è considerata la «discarica abusiva più grande d’Europa». 

L’indagine della procura di Santa Maria Capua Vetere ha poi chiarito che furono, probabilmente, le società-paravento dei camorristi a incaricarsi di perpetuare il sistema dello smaltimento di rifiuti tossici in Campania e di nascondere anche i rifiuti speciali del Nord a Calvi. Se si fosse deciso per il traffico dal Sud, la camorra avrebbe annientato l’emergenza rifiuti in Campania in una generazione, piantandola invece chissà dove. Ma nessuno a Calvi Risorta ha mai mosso un dito. Il silenzio ha avuto le sue colpe. Il Comune di Calvi Risorta, con il suo sindaco, Giovanni Rosario Lombardi, dovrebbe accollarsi l’obbligo di attuare la caratterizzazione, ma l’ente locale è in dissesto finanziario e nessuno, attualmente, ricopre la carica di dirigente dell’Ufficio tecnico. Il nodo è difficile da sciogliere.

I vari Governi che avevano promesso di occuparsene, intanto, sono passati e sono andati via, ma i rifiuti non si sono mossi: sono come alberi anche questi, radicati in terra.

E il silenzio glaciale accoglie la tiritera del «Comitato per l’agro caleno» e delle altre associazioni che sfilano in cortei quasi ogni settimana. L’11 luglio, è prevista l’ennesima manifestazione degli attivisti di Bellona «Comitato cittadino mai più Ilside» contro i continui roghi nell’ex sito di stoccaggio più volte incendiato. L’Ilside è un’altra bomba ecologica mai bonificata.

Tutto questo accade mentre l’odore dei roghi continua a fissarsi nelle narici dei residenti di Trentola Ducenta, Casaluce e di tutto l’agro aversano, come parte del lento e dispendioso piano di messa in sicurezza. Perché nella Terra dei fuochi, di notte, si continuano a incendiare pneumatici sotto i pilastri della strada provinciale Giugliano-Marcianise.

Qualcosa si sta muovendo, invece, sulla discarica Sogeri, dove la Sogesid - braccio operativo del ministero dell’ambiente - ad aprile ha dato il via alla bonifica della discarica di Castelvolturno. L’azienda di Quarto si è aggiudicata l’appalto da 4 milioni e 500mila euro. Attendono, infine, ancora i fondi le cinque discariche di Casal di Principe indicate dai collaboratori di giustizia nel 2013. Sequestrate e circoscritte dalla magistratura, sono state poi dimenticate.
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