Eremi tra monti e boschi
sulle tracce dei santi

Eremi tra monti e boschi sulle tracce dei santi
Eremi tra monti e boschi sulle tracce dei santi
di Nadia Verdile
Lunedì 13 Agosto 2018, 05:00
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Sulle vie degli eremi alla ricerca delle tracce della preghiera e della solitudine, sulle orme di santi, vescovi e leggende. Da quello di Monte Muto di Piedimonte Matese a San Vitaliano in Casola di Caserta passando per Palombara in quel di San Felice a Cancello e San Salvatore e Fradejanne a Rocchetta e Croce, tra colline e monti, circondati da una lussureggiante vegetazione composta di faggi, abeti, castagni, gli eremi di Terra di Lavoro raccontano storie di romitaggi, arte, leggende e sono oggi protagonisti di escursioni di passioni, tra bikeristi, arrampicatori e cultori del trekking.

Palombara
Come un maniero posto a protezione della vallata, rude e squadrato come una fortezza, l’eremo-santuario di Sant’Angelo a Palombara si erge su uno spuntone di roccia ad un’altitudine di 600 metri. Nel territorio di San Felice a Cancello, a dominio della Valle Caudina, fu fondato nell’862 dal feudatario Landone per celebrare la vittoria conseguita su Sergio I di Napoli. È dedicato al culto di San Michele Arcangelo. Per raggiungerlo bisogna percorrere una strada tortuosa lungo la quale sono poste le quattordici stazioni della Via Crucis. Venne edificato su grotte e locali che danno sulla vallata, intorno ad una cripta utilizzata per il culto sin dall’antichità. Ancora presenti affreschi e nicchie reliquiarie che, secondo la vulgata popolare, avrebbero custodito i resti dei martiri anche se la tesi più accreditata vede la cripta abitata da monaci basiliani che, dopo le persecuzioni di Leone l’Isaurico, ripararono in Italia. Luogo di culto e di silenzio visse anche il caso limite di due eremiti che, in barba alla scelta della solitudine, trasformarono la chiesa in luogo di banchetti, bagordi e deposito di cereali. 

San Vitaliano
Nel capoluogo c’è l’eremo di San Vitaliano. Realizzato in tufo, conserva ancora le tracce dei secoli sia nella struttura sia nelle rare pitture. La costruzione, situata sui monti Tifatini che fanno corona a Casola, a ridosso di Casertavecchia, l’antica costruzione medievale è stata da poco restaurata e ricondotta alle antiche linee architettoniche. Da anni è per la cittadinanza un punto di aggregazione essendo sede di incontri culturali, artistici e spirituali anche molto importanti. 
La leggenda narra che nel VII secolo dopo Cristo il vescovo di Capua, Vitaliano, vittima di una feroce persecuzione, fu costretto a fuggire dalla sua città, trovando rifugio proprio dove ora c’è il piccolo eremo. La storia racconta invece che fu il popolo di Capua ad acclamare Vitaliano vescovo della città nel VII secolo. Secondo quanto scritto in un codice in pergamena del XII secolo, Vitaliano, mal visto e invidiato da alcuni prelati che desideravano impossessarsi della carica episcopale, ebbe da questi sostituiti nella notte i propri abiti con altri da donna. Al suo risveglio, si recò inconsapevole all’ufficio mattutino così vestito e presentatosi in chiesa fu sbeffeggiato e accusato di predicare la castità, ma di non praticarla. Invocò la propria innocenza, si svestì e abbandonò la diocesi per andare dal papa. 
Fu agguantato dai suoi nemici che, raggiuntolo presso l’antica Sinuessa, l’odierna Mondragone, lo chiusero in un sacco di cuoio e lo buttarono in mare. Miracolato, raggiunse la spiaggia di Ostia, sano e salvo. Vi rimase per sette mesi. Su Capua si abbatté la punizione divina: una lunga siccità, la peste e la carestia. Ne fu invocato il ritorno, che avvenne sotto una pioggia torrenziale che riportò acqua alla campagne arse. Prossimo alla morte si ritirò, da eremita, sul Monte Virgiliano, dove in seguito, essendo il nome mutato in Monte Vergine, sorgerà l’omonimo santuario. Qui edificò un sacello, in onore della Madonna e vi morì nel 699. 

La Solitudine
L’eremo della Solitudine, invece, è a Piedimonte Matese; immerso in una fresca vegetazione di aceri, faggi e querce, fu costruito nel 1678 per volere di Giovanni Giuseppe della Croce, che poi divenne santo. Custodisce reliquie di diversi santi, ha un altare barocco e celle per i monaci. Trasuda, nella sua semplicità, di atmosfere austere e pacate, figlie della cultura francescana alcantarina. 

San Salvatore e Fradejanne
Alle pendici del monte Maggiore, nel comune di Rocchetta e Croce, raggiungibili senza auto, ci sono gli eremi di San Salvatore e di Fradejanne. Sentieri che profumano di erbe selvatiche, di storie contadine, di processioni centenarie, di arrampicate sulle rocce che si innalzano dal bosco. Qui, a novecento metri d’altitudine, Frate Giovanni, detto Fradejanne, nel Trecento costruì, per i carbonai che lavoravano in montagna, un oratorio per pregare; vi pose l’icona di una madonna che da allora porta il nome del frate che la volle. Un po’ più in basso, su una rupe a 850 metri, l’eremo-monastero di San Salvatore con la sua cripta, il pozzo e la cisterna, e la storia di san Tommaso d’Aquino, padre della Scolastica, che qui trascorse periodi della sua vita e dove nel 1089 Sant’Anselmo d’Aosta, primate di Canterbury, scrisse una delle sue opere più importanti, il Cur Deus Homo. Per incontrare Anselmo, chiamato poi Doctor Magnificus, Ruggero il Normanno, abbandonò l’assedio di Capua per due giorni. Luoghi dell’anima che punteggiano il casertano, nascosti da boschi, protetti dalla fede, ricercati da chi desidera incontrarsi, sulle vie degli eremi.
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