Nuovi verbali di Schiavone:
«Il Bingo boys era del clan»

Nuovi verbali di Schiavone: «Il Bingo boys era del clan»
di Marilù Musto
Mercoledì 5 Dicembre 2018, 13:30
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TEVEROLA - I veri proprietari della sala scommesse e gioco «Bingo boys» sarebbero stati, per lungo tempo, i Russo. O meglio, i componenti della famiglia di Giuseppe Russo O'Padrino. Questo, in sintesi, è emerso - durante l'interrogatorio di un carabiniere - nel processo a carico di Luciano Cantone, uno degli ex proprietari del centro «Bingo boys» di Teverola. La deposizione del maresciallo dei carabinieri Cante, ieri mattina, nell'aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, è durata circa un'ora o poco più. Un'ora per ricostruire la vera proprietà del centro Bingo di Teverola che per la Procura Antimafia era nelle mani del clan Schiavone, in particolare in quelle di Massimo Russo, fratello del boss Giuseppe Russo detto O'Padrino di Casal di Principe.
 
I Cantone sarebbero stati solo delle «teste» utili alla camorra per «riciclare» il denaro «sporco» della malavita organizzata. E, non a caso, ieri, il sostituto procuratore dell'Antimafia di Napoli, Maurizio Giordano, ha annunciato ai giudici il deposito di nuovi verbali di Nicola Schiavone, il primo dei sette figli del boss Francesco «Sandokan», ora collaboratore di giustizia. Nei verbali ci sarebbe la «voce dentro al clan» che potrebbe «inchiodare» coloro che per anni hanno vestito i panni di prestanome.

Fra gli imputati c'è, appunto, Luciano Cantone, accusato di reati mafiosi e di reimpiego di denaro di provenienza illecita, ma anche di intestazione fittizia di beni. Per gli stessi reati era stato arrestato il fratello Mario, poi morto suicida nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nel 2014.

Mario Cantone, gestore del centro giochi e scommesse Bingo, venne trovato morto nella sua cella della casa circondariale nel febbraio di quattro anni fa. Aveva chiesto di essere curato in un centro specializzato. Finito in carcere nel giugno del 2013, nell'ambito dell'operazione «Rischiatutto» - che aveva portato in cella ben 57 persone - prima di morire aveva svelato i nomi di otto uomini della camorra che gli avevano chiesto il pizzo e quando proprio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere erano entrati due degli otto presunti estorsori che aveva indicato ai magistrati, Mario Cantone, probabilmente, è possibile che abbia avuto paura di ritorsioni, decidendo di farla finita.

Quei nomi erano stati pronunciati durante un interrogatorio prima con il gip del tribunale di Napoli e poi con il pm della Dda.
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