Bellona, Mango voleva uccidere la figlia e urlava: «Fatemi parlare con Mussolini»

Bellona, Mango voleva uccidere la figlia e urlava: «Fatemi parlare con Mussolini»
di ​Mary Liguori
Martedì 23 Gennaio 2018, 23:01 - Ultimo agg. 24 Gennaio, 16:47
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Voleva fare una strage. Perciò Davide Mango ha lanciato la bombola del gas giù dal balcone e poi ci ha scaricato su decine di pallettoni. Le fucilate non hanno innescato l’esplosione, quindi ha imbracciato la carabina e ha fatto fuoco sui passanti. Dieci minuti di spari, poi una trattativa di oltre tre ore. Dopo aver cercato di ammazzare la sua stessa figlia. Per poi urlare, ripetutamente, il nome del duce. «Mussolini». «Voglio parlare con Mussolini». Alcune delle frasi deliranti che ha pronunciato nelle lunghe ore cariche di tensione che hanno preceduto il gesto più scontato. Infilarsi la canna della pistola in bocca e fare fuoco.
 



A un giorno di distanza dai fatti, la dinamica del pomeriggio di sangue e follia di Bellona emerge in tutta la sua drammaticità. La guardia giurata simpatizzante di Forza Nuova ha ucciso la moglie Anna Carusone dopo averla rincorsa per le scale. Al culmine dell’ennesima lite, lei gli ha detto «Ti lascio». Sono state le sue ultime parole. Un colpo l’ha centrata alla testa quando mancavano pochi gradini per il portoncino. Suami, la loro unica figlia, stava scappando insieme alla mamma. Era davanti a lei, quando Anna è stata colpita ed è caduta per le scale. Forse la madre ha fatto scudo col suo corpo alla figlia. Un ultimo gesto d’amore prima di finire uccisa dall’uomo che per una vita ha cercato di proteggere dalla follia, dalle ossessioni che avvelenavano la loro esistenza. Ma il pomeriggio di terrore poteva iniziare addirittura peggio perché, lo si è appreso ieri, la guardia giurata ha cercato di uccidere anche sua figlia.

La ragazza, quindici anni, deve la vita a un garzone-eroe. «Sto bene, ora sto bene». Domenico Iodice ha venti anni. La voce è flebile e sofferente. Forse solo dopo ha compreso che quei colpi potevano ucciderlo. E non ha voglia di parlarne. D’altronde il suo gesto parla per lui. Ha portato Suami in salvo facendole scudo col suo corpo. Secondo la ricostruzione definitiva, dopo aver visto la madre morire sotto i suoi occhi, la ragazza è riuscita a oltrepassare il cancello della villetta, sfiorata dai proiettili. Ansimante è arrivata in strada. Urlava. Un dipendente del supermercato sotto casa ha incrociato il suo sguardo terrorizzato e ha capito che doveva fare qualcosa. Domenico ha abbracciato la ragazzina, quasi l’ha sollevata da terra, e le ha fatto scudo col proprio corpo mentre, insieme, attraversavano di corsa la strada per rifugiarsi in un edificio di fronte alla villa. Ma Davide è corso fuori al balcone. Uccidere la moglie evidentemente aveva spezzato qualsiasi connessione con la realtà, abbattuto ogni confine affettivo. Ha fatto fuoco contro sua figlia. Ha sparato. Ancora e ancora. Sulla ragazzina e sul giovane che la stava portando in salvo, che si è quasi immolato per salvarla. Una fucilata lo ha centrato a un braccio. Un pallino lo ha preso alla nuca. Qualche centimetro più a sinistra e avrebbe colpito Suami alla testa. Ma lui ha continuato a correre, fino a quando entrambi non sono riusciti a entrare in un supermercato che si trova sul lato opposto della strada. Da quel momento, né Domenico né Suami hanno più parlato. La ragazzina, affidata allo zio paterno, si è chiusa in un comprensibile mutismo. Il suo eroe, che è a sua volta un ragazzo, di parlare di quel pomeriggio d’orrore non vuol saperne. 

 

D’altronde dopo aver ferito lui, Mango ha scatenato l’inferno. Ha ferito quattro donne e un carabiniere. Il far west. Poi è scattato il coprifuoco. I carabinieri del reparto speciale, scudo e caschi, giubbini antiproiettili, fucili di precisione, appostati ovunque ci fosse una buona visuale del secondo piano della villa. Dove Davide spegneva e accendeva la luce. Ore di tensione, mediazione al telefono e al citofono con i negoziatori del Reparto operativo di Caserta. Una strategia che ha evitato una carneficina quella dei carabinieri coordinati dal colonnello Alberto Maestri e dal tenente colonnello Nicola Mirante. Quest’ultimo si è spacciato per un medico del 118 e per due volte è riuscito ad entrare nel palazzo, rischiando la vita, dopo aver convinto Mango a lasciare che soccorresse sua moglie. Il colonnello Mirante l’ha portata fuori caricandosela sulle spalle. Purtroppo era già morta. Poi è tornato dentro per una donna che vive al piano sottostante quello in cui Davide si era barricato. Era in preda al terrore, il carabiniere l’ha convinta a uscire mentre Mango iniziava a minacciare di far esplodere l’edificio con il gas. 

Sangue freddo e capacità di dialogo. Così i militari hanno evitato che l’uomo sparasse ancora. Ma non sono riusciti a salvare Davide Mango, perché non voleva essere salvato. L’ha fatta finita mentre era al telefono con l’ufficiale dell’Arma che, per tre ore, gli ha parlato impedendogli di usare le centinaia di proiettili che aveva già pronti sul tavolo della cucina, accanto a una bottiglia di liquore semivuota. Forse ha bevuto per tirare avanti in quelle ore di follia. E si apre un altro profilo di Mango. È come se ci fossero stati due Davide. Uno deciso, ancorato a ideali politici pericolosi, ossessionato da cose inutili. Era la faccia che tutti vedevano. Poi c’era il Davide marito violento e geloso. Che Anna cercava di nascondere al mondo. Lei che stava simpatica a tutti. Che portava a casa la sua parte, lavorando come badante. Sorridente, in forma, curata. Adesso non c’è più nessuno di loro. Resta la loro bambina. Chiusa nel silenzio che chissà quanto durerà. Lo stesso silenzio che ha scelto il suo eroe. Domenico. Coraggioso, di un coraggio positivo, altruista. Che cozza con le immagini dei suoi coetanei, quelli delle «babygang» che hanno fatto scattare, in queste settimane, un allarme di portata nazionale. 

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