Emilia, asse tra Casalesi e albanesi: così i clan si dividono i cantieri edili

Emilia, asse tra Casalesi e albanesi: così i clan si dividono i cantieri edili
di Domenico Zampelli
Lunedì 12 Febbraio 2018, 08:50 - Ultimo agg. 09:28
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Dal Tar Emilia Romagna arriva la conferma dell'asse fra clan dei Casalesi e malavita albanesi, con particolare riferimento al territorio di Modena.

È da quella prefettura che è infatti partita nell'aprile 2016 una interdittiva antimafia nei confronti dell'impresa individuale Zelna Montaggi, che si occupa dell'attività di montaggio di manufatti in metallo per strutture portanti nei cantieri edili.

Un provvedimento impugnato dinanzi al tribunale amministrativo per violazione dei principi di legalità e certezza del diritto, eccesso di potere per illogicità, errata valutazione dei presupposti di fatto e diritto, carenza di motivazione e omessa istruttoria in relazione al principio di proporzionalità e ragionevolezza. Argomentazioni che però non sono state accolte dalla prima sezione di palazzo Angelelli.

Secondo il collegio (presidente Giancarlo Mozzarelli, consiglieri Umberto Giovannini e Ugo De Carlo) a sorreggere la motivazione del provvedimento impugnato vi sono rilevanti elementi. Viene in particolare citata una riunione del Gruppo Interforze, nell'ambito della quale è stata sottolineata l'esistenza di rapporti tra entrambi i fratelli Zelna e Alfonso Perrone, reggente nella zona del clan dei casalesi. Tale elemento, pur essendo risultato insufficiente a contestare ai fratelli Zelna l'appartenenza diretta al clan dei Casalesi risulta, in sede di esame di un provvedimento interdittivo antimafia, «un elemento oggettivamente e particolarmente significativo, alla luce della già riferite finalità di tutela preventiva e cautelare rispetto all'infiltrazione mafiosa che sono sottese all'adozione di tali misure, per sostenere e ulteriormente supportare il giudizio di permeabilità mafiosa della impresa individuale di cui il ricorrente è titolare».
 
Il Collegio ritiene quindi che «da tali più che significativi e probanti elementi, frutto di evidente approfondita istruttoria, emerga un solido quadro indiziario, soprattutto rivelatore di significativi collegamenti tra il ricorrente e soggetti appartenenti o comunque contigui ad associazioni di tipo mafioso».

In ogni caso, secondo il Tribunale amministrativo che si è riportato alla giurisprudenza sull'argomento - l'informativa antimafia non ha natura sanzionatoria ed il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più «probabile che non», alla luce di una regola di giudizio che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è quello mafioso.

Pertanto, gli elementi posti a base dell'informativa purché essi siano certi sotto il profilo fattuale - possono anche essere penalmente irrilevanti e persino oggetto di pronunce assolutorie, mantenendo, tuttavia, inalterata la loro valenza indiziaria a carico dell'imprenditore che si pone su una pericolosa linea di confine tra legalità e illegalità idonea a legittimare l'adozione dei provvedimenti impugnati.

Sottolineata anche la funzione del Prefetto, che è dotato di ampia discrezionalità di apprezzamento in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa.
 
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