Reggio Calabria, il dominio delle Locali di 'ndrangheta: un 15enne pronto a essere affiliato

Un momento della conferenza stampa
Un momento della conferenza stampa
di Serafina Morelli
Martedì 4 Luglio 2017, 15:12
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Reggio Calabria - «Chiedo di essere affiliato e mettermi a disposizione dell’intera famiglia»: sono le parole contenute in una lettera di un ragazzino di soli 15 anni che scopre di essere un parente di Antonio Cataldo e chiede alla figlia 22enne di consegnarla al padre in carcere. L’intercettazione risale al marzo del 2015: «è la figlia del boss della cosca Cataldo a raccontarlo alla madre. È lei stessa scettica e si chiede: ma com’è possibile?», racconta il generale Giuseppe Governale, comandante del Ros, nel corso della conferenza stampa dell’operazione “Mandamento” condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Sono 114 le persone fermate, due quelle irreperibili, 291 invece i soggetti indagati ai quali sono complessivamente addebitati ben 140 capi di imputazione. Un’indagine, portata a termine dai Carabinieri del Ros e del Gruppo di Locri, che ha interessato la quasi totalità delle organizzazioni criminali comprese nel “mandamento” jonico reggino, composto dalle “Locali” più strutturate e maggiormente legate alle tradizionali regole di ‘ndrangheta, tanto da essere considerate il cuore dell’organizzazione. «Sono i paesi sperduti dell’entroterra aspromontano – spiega Governale - come Bianco, San Luca, Africo Nuovo, Ardore, Platì che infiammano il cuore degli ‘ndranghetisti in Canada, Australia, Svizzera, Piemonte, Emilia, Lombardia». Nello specifico sono stati censiti gli organigrammi di 23 Locali e individuate le gerarchie: ciò ha consentito di documentare le tipiche espressioni del metodo mafioso, identificando gli autori di estorsioni, truffe aggravate per il conseguimento di erogazioni pubbliche, danneggiamenti nonché della infiltrazione negli appalti pubblici e lavori privati, i quali, per numero e estensione, «costituiscono un allarmante indice del capillare e asfissiante controllo del territorio esercitato dalla ‘ndrangheta».

Gli appalti - Da questa indagine emerge un aspetto fondamentale: c’è una vera e propria strategia dietro la presenza della 'ndrangheta negli appalti pubblici. Le intercettazioni evidenziano, secondo i magistrati della procura reggina, una «sistematica pressione estorsiva, costituita dal 10% del valore delle opere», nonché l’infiltrazione negli appalti pubblici tra cui quello relativo ai lavori della linea ferroviaria Sibari-Melito Porto Salvo, con particolare riferimento alla tratta Condofuri-Monasterace del valore complessivo di 500mila euro. «Gli appalti pubblici vengono puntualmente controllati dalla ‘ndrangheta: è un sistema che impone la pressione estorsiva o sotto forma di denaro o con le infiltrazioni negli appalti – spiega il procuratore di Reggio, Federico Cafiero De Raho -. Spesso queste imprese che si inseriscono per conto delle cosche sono apparentemente pulite, mentre poi negli stessi appalti le ditte che non possono lavorare vengono utilizzate addirittura senza contratto, così come è avvenuto per la realizzazione del nuovo Tribunale di Locri». Oltre al Palazzo di Giustizia, le cosche si sono infiltrate negli appalti per la realizzazione del centro di solidarietà Santa Marta (appalto della Diocesi Locri-Gerace), di istituti scolastici e dell’ostello della gioventù di Locri dove i legali rappresentanti della ditta, al fine di poter proseguire ed ultimare la realizzazione dell’opera, sono stati costretti a versare a titolo estorsivo una somma di denaro pari ad 80mila euro in favore dei fratelli Antonio e Francesco Cataldo. La cosca Cataldo avrebbe anche raggiunto il controllo di alcuni alloggi popolari a Locri.

La pax mafiosa - La possibilità di fare affari è in grado di sanare fratture storiche, come quella fra le famiglie storiche del Locale di Locri, i Cataldo e i Cordì, protagoniste di una faida iniziata sul finire degli anni '60 che ha insanguinato per diversi anni la zona. L'inchiesta ha evidenziato come, a seguito della formale chiusura del Locale di Locri, decretata alla fine degli anni '90 dagli organismi di vertice della 'ndrangheta proprio a causa dell'ennesima recrudescenza della faida, le due cosche rivali abbiano raggiunto una formale pacificazione al fine di "riattivare" il Locale e rientrare nel consesso 'ndranghetista da cui erano state escluse. 
 
Il controllo - C’era poi anche chi approfittava del suo potere per dare ordini agli operai del Consorzio di bonifica dell'Alto Jonio Reggino i quali venivano sistematicamente impiegati per eseguire lavori edili di manutenzione nelle proprietà di Rosario Barbaro, detto "Rosi", capo del Locale di Platì, ma erano retribuiti dal Consorzio stesso ufficialmente per lo svolgimento di opere di bonifica del territorio. Questo a dimostrazione di come la ndrangheta sia riuscita a svolgere i propri interessi diventando la più grande holding del crimine, avendo una capacità di controllo totalizzante del territorio e delle attività economiche. E proprio oggi «abbiamo individuato i bracci operativi di questo controllo economico». Inoltre sono stati documentati numerosi casi di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, commessi mediante presentazione di falsa documentazione per il conseguimento di contributi comunitari all’agricoltura erogati dall’Arcea, l’agenzia regionale per le erogazioni in agricoltura.
 


 
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