Maria Pirro
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«Genitori, occhio agli smartphone:
è il primo passo per evitare tragedie»

di Maria Pirro
Lunedì 17 Settembre 2018, 16:52 - Ultimo agg. 16:54
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«Purtroppo, questa tragedia non è nuova. Si stima che almeno 170 persone all'anno nel mondo muoiano a causa dei selfie estremi. Di solito, le situazioni tipiche sono salire su un grattacielo, come a Milano, oppure partecipare a corse d'auto. Lo fanno giovani mai maggiorenni: la fascia critica è tra i 14 e 18 anni, quando si sfidano i propri limiti. E il cellulare contiene un mondo parallelo, quasi sempre oscuro ai genitori: occorre guardare le foto e i profili social per capire e poter intervenire». Giuseppe Riva, docente di psicologia della comunicazione all'Università Cattolica di Milano, è autore, tra i suoi primi libri, di Selfie. Narcisismo e identità e I social network, entrambi editi dal Mulino.

Morire a 15 anni per un selfie è assurdo.
«Il selfie ha una doppia valenza: da una parte, permette di far vedere a tutti la prova di coraggio sostenuta; dall'altra, nell'azione stessa, consente di sfidare se stessi. Una pratica in aumento».
Il 6 settembre, sempre a Milano, un adolescente ha perso la vita per tentare un altro gioco estremo, l'auto-soffocamento, visto on line.
«Si è innescato un meccanismo di emulazione risultato fatale, spinto dalla rete. In altri tempi non si sarebbe nemmeno posto il problema».
Cosa suggerisce ai genitori?
«Devono essere consapevoli dei comportamenti dei propri figli: molti ignorano il problema, ma basta, ripeto, guardare le foto sul cellulare per rendersene conto. Avuta contezza di tutto ciò, padri e madri devono recuperare tempo per stare con i ragazzi: fare cose insieme aiuta a creare esperienze condivise e proporre visioni diverse».
C'è invece un disinvestimento dalle relazioni personali e dai luoghi.
«Uno dei paradossi è che il numero di amici veri si è ridotto nel tempo: è sceso a meno di due, nonostante l'aumento esagerato di contatti virtuali. E questo dipende proprio dalla scarsa qualità delle relazioni che nascono e tendono a essere instabili, più fugaci e veloci del passato. Tutto ciò mina anche la tenuta dei rapporti con un fidanzato. Senza un confronto vero, si determina un rischio molto alto di sbandamento».
C'è una tendenza a coltivare invece legami tramite WhatsApp e Facebook anziché concentrarsi sulle situazioni reali.
«Difatti, comitive di ragazzi in pizzeria chattano con altri piuttosto che conversare tra loro: tendono a preferire rapporti mediati invece di quelli faccia a faccia perché sono più facili da gestire. Con questa modalità è possibile distanziarsi e rivelare di se stessi solo quello che si vuole: si tratta di una forma strategica di comunicazione, meno ricca di dati emotivi, che però può mettere in gioco se stessi e creare una grande sofferenza».
Da che cosa dipende?
«Non si riesce più a essere totalmente sinceri, a creare relazioni autentiche basate sullo scambio: quando si guardano i profili degli amici, tutti sembrano felici e se stessi il pulcino nero. I social potenziano l'idea che l'erba del vicino è sempre più verde e, nel confronto con un mondo tanto perfetto, si scatenano ansie e depressione e si finisce per ripiegare su se stessi».
Se l'autenticità degli scambi con l'altro viene meno, i problemi personali appaiono insuperabili.
«Di fatto, c'è un aumento dell'infelicità e il senso d'insicurezza diffuso si ripercuote sui rapporti sociali».
Ma i comportamenti espressivi oggi si legano sempre più all'accelerazione tecnologica...
«C'è stato un cambiamento esistenziale: le generazioni precedenti hanno dato importanza all'essere, oggi è più importante esserci. Invece di costruire competenze e capacità e consolidare ciò che si ha, è più facile creare una rete».
Affrontare con i ragazzi e le famiglie l'esistenza di problemi affettivi o del comportamento è davvero difficile.
«Perché un conto è raccontare quello che uno vuole, un altro è essere se stessi: è fondamentale lavorare per rendere solida la propria identità».
Nel suo ultimo libro sulle fake new dimostra quanto sia difficile distinguere il vero e il falso.
«Ci vorrebbe un patentino per garantire l'acquisizione di competenze di base on line ed è giusto vietare l'uso dei social fino a una certa età. Nel libro c'è una sezione per aiutare genitori e insegnanti a orientare i ragazzi perché restino ancorati alla vita vera».
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