Pietro Treccagnoli
L'Arcinapoletano
di

Napoli, piazza Garibaldi fu ferita

Foto di Antonio Di Laurenzio
Foto di Antonio Di Laurenzio
di Pietro Treccagnoli
Sabato 10 Settembre 2016, 16:00
5 Minuti di Lettura
Ricordate la filastrocca infantile di qualche decennio fa? «Garibaldi fu ferito, fu ferito a una gamba» e via rimando. L’eroe dei Due Mondi se la cavò comunque meglio della piazza napoletana che gli hanno intitolato e che lui osserva ormai sempre più scoraggiato e perplesso dall’alto del piedistallo marmoreo all’ingresso della Maddalena. Sotto il suo sguardo, e attorno attorno a lui come un recinto, cantieri infiniti con percorsi mobili e spostati a tradimento come nel vecchio e perfido videogioco di PacMan, secretati a tratti dietro paratie che nascondono l’osceno. Pare una nemesi neoborbonica. Se questa è la tendenza a piazza Cavour e a piazza Mazzini (ma pure a via dei Mille) dovrebbero cominciare a preoccuparsi.

Si preoccupano già, e da tempo, i residenti, i commercianti e chi in auto, in moto o a piedi deve attraversare la spianata delle transenne come se fosse un circuito fatto di strettoie e ingorghi. A girarci tutt’attorno si ha la visione di due piazze contrapposte: come sarà e come resiste. A destra, puntando alla stazione di Napoli Centrale, ‘a Ferrovia, c’è la linea 1 del metrò, il capolinea firmato da Dominique Perrault con il suo centro commerciale ribassato e le vele come alberi di una bianca e fiabesca foresta. Al netto della puzza di fritto che non tramonta mai, come il sole sull’impero di Carlo V, è un’agevole e larga passeggiata con pizzerie, bar, kebabari e gli immancabili gestori di telefonia. Dal lato opposto, invece, una strettoia che somiglia a una medina levantina, sbarrata da un lato dagli alti pannelli dei cantieri e dall’altra dalla serie caotica di bar, bancarelle di merce contraffatta e i tavolini delle rosticcerie etniche, in mezzo una sola carreggiata dove di regola dovrebbero passare esclusivamente i taxi, ma s’infila chi può. Un percorso affollato, dove t’inseguono le voci del pacco e paccotto: «Aifòn, dotto’, Aifòn? Sigarette, sigarette», sussurri che, quando ci si volta, svaniscono in un mare di facce che paiono simulare lo schiaffo del soldato.
La Napoli senza tempo che non perde tempo. Qui ci sono africani che vendono agli slavi, arabi che comprano dai cinesi, napoletani che riforniscono africani, arabi, slavi, cinesi e pakistani. Si capiscono con un paio di neolingue creole: il Napolish e lo Swahitaly. Poco più su, all’incrocio con corso Garibaldi, alcune donne rom frugano nei cassonetti dell’immondizia, già traboccanti dal primo pomeriggio. Del resto la zella, fatta di bottiglie di birra vuote e tutto quando potrebbe essere differenziato, punteggia come un codice Morse ogni angolo appena discosto dal traffico pedonale. Ma nessuno ci fa più caso, manco la vede più, rimosso dalla mente. Miracoli dell’abitudine e della rassegnazione.

La cornice è questa. E somiglia, ma a tinte più squillanti, al palcoscenico che circonda e inonda gli approdi ferroviari di tutte le metropoli occidentali. Il quadro è fatto, invece, di buchi, di tagli, quasi fosse una tela di Lucio Fontana, però per niente astratto ed essenziale, semmai frammentato, ma sempre inquietante. Ebbene, le ferite di piazza Garibaldi non si cicatrizzano. Un buco qua, un buco là, una strada chiusa qua una strada riaperta là, un senso invertito da una parte e ripristinato dall’altra, generano il domestico e familiare caos. «Non facciamo a tempo a imparare il percorso che il Comune te lo cambia» racconta con un sorriso amaro Vincenzo, tassista in attesa fuori la stazione. «E sapesse i tamponamenti che vediamo quando spostano i sensi unici. Chi non sa o non ha ancora capito, non s’aspetta che da dove fino al giorno prima non veniva nessuno, mo’ sbuca una macchina».
La fila dei jersey gialli di cemento segna confini facilmente valicabili. A guardare dentro gli scavi di questa Pompei contemporanea, laddove è possibile per un varco tra i pannelli e laddove non ci sono auto e furgoncini in sosta perenne con relativo posteggiatore in agguato, si percepisce un riposo forzato. Almeno ieri, nel pieno della giornata, è stato possibile intercettare un solo operaio che si aggirava tra cumuli di terreno, una ruspa ferma, prefabbricati e altro materiale edile. Sarà stato un caso. «Li vedo, li vedo i lavoratori» spiega Antonio Russo, pendolare della Circumvesuviana, commesso in un negozio. «Ma non so dirvi quando ci sono e quando no. È passato tanto di quel tempo da quando hanno messo mano che ormai non ci applichiamo più». Il tempo è una variabile incostante. 
«Comunque sono almeno sei anni che hanno cominciato» chiarisce Mario, il proprietario della Caffetteria Luna Rossa. «E ci hanno inguaiato. Prima di fronte a noi tenevamo il parcheggio dei pullman e tanto spazio, adesso con questo muro ci hanno messo in un vicolo». Ma c’è un bel traffico di pedoni. «E chi entra nel bar? Vedete qualcuno?». Sarà l’ora. Certo l’impressione di essere finiti in un budello è forte, una sensazione acuita dalle paratie che fungono da pennelli pubblicitari e, all’occorrenza, elettorali o funebri. 

Un altro budello è quello che devono imboccare gli automobilisti che da corso Arnaldo Lucci si dirigono verso corso Garibaldi o corso Umberto. Qui s’intasa tutto. Ma ci sono altri punti nevralgici. L’ingresso da corso Umberto, ma questa è storia vecchia. L’imbocco di corso Lucci è un tappo a causa del passaggio pedonale di fronte alla Feltrinelli e, più avanti, per la rotonda dove si arenano i bus di lunga percorrenza che devono entrare nel terminal dove c’è pure il parcheggio della stazione. Con l’ultimo dispositivo di traffico che ha invertito le direzioni di marcia di via Torino e via Milano, l’ingresso di quest’ultima costringe le auto a infilarsi una alla volta nell’imbuto, quando riescono a scavallare il continuo passaggio di pedoni. 

«Con i nuovi cambiamenti hanno incasinato tutto» si sfoga sempre Mario il barista. «Se venite da corso Novara e dovete andare a corso Lucci, come fate?». Come faccio? Sembra un test di scuola guida. «Non lo sapete? Non lo so neanche io». Bene. Studiando, però, i sensi unici in questo dedalo di strade che sembra un altante (via Torino, via Milano, via Firenze, via Bologna, via Genova, via Venezia) un modo si trova. Ma effettivamente è necessario prenderla alla larga. Tocca dirigersi verso Porta Capuana, infilare via Alessandro Poerio, aggirare Garibaldi, accodarsi a chi proviene dal Rettifilo, attraversare la piazza in verticale e puntare a destra. «E avete detto niente» se la ride Mario. Come dargli torto, qui nemmeno Google Maps può farvi da navigatore, fa fatica ad aggiornarsi e può mandarvi fuori strada. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA