Reddito di cittadinanza: perché così è un sussidio a vita

Martedì 13 Marzo 2018, 12:28 - Ultimo agg. 17:55
3 Minuti di Lettura
Una settimana dopo il voto del 4 marzo, sembra che il Movimento 5 Stelle sia più cauto a proposito del cosiddetto reddito di cittadinanza (o più propriamente "reddito minimo"), vero cavallo di battaglia elettorale della forza politica guidata da Luigi Di Maio. Il sussidio verrebbe introdotto solo gradualmente e intanto si cercherebbero possibili convergenze sul Rei, il reddito di inclusione messo a punto dai governi Renzi e Gentiloni e operativo dalla fine dello scorso anno.

La mossa ha probabilmente una valenza tattica in questa fase ma a voler essere (molto) benevoli potrebbe anche riflettere la consapevolezza che il reddito di cittadinanza, almeno per come è stato "progettato" nell'originario disegno di legge presentato nel 2013, non è seriamente realizzabile. Ne avevamo già parlato quasi tre anni fa qui. Il punto non è tanto la difficoltà di finanziare uno strumento del genere; di fatto, tutto l'impianto suppone un livello di funzionamento del sistema del collocamento e dei centri per l'impiego che è sideralmente più alto di quello effettivo. E già questo dovrebbe consigliare prudenza.

Andando però a leggere i dettagli della proposta, si scopre che c'è di più: il meccanismo di condizionalità che dovrebbe legare il reddito alla ricerca di lavoro si basa su presupposti irrealistici, ai limiti del ridicolo. Le proposte di lavoro «congrue» che si possono rifiutare sono tre (cioè bisogna accettare la quarta e non la terza come ripetuto in campagna elettorale); per essere congrua la proposta deve essere «attinente alle propensioni, agli interessi e alle competenze acquisite dal beneficiario in ambito formale, non formale e informale, certificate, nel corso del colloquio di orientamento, nel percorso di bilancio delle competenze e dagli enti preposti».  Ma attenzione: se mai tale proposta si profilasse, si può sempre scansarla: è infatti possibile, senza perdere il sussidio, sostenere fino a tre colloqui «con palese volontà di ottenere esito negativo» (ad esempio mandando a quel paese l'intervistatore?). E una volta all'anno ci si può anche dimettere, senza dare spiegazioni, dal lavoro eventualmente accettato.

Ci sono poi il parametro retributivo (lo stipendio dev'essere maggiore o uguale a quello riferito alle «mansioni di provenienza», qualunque cosa questo significhi) e quello geografico, per cui la sede di lavoro deve essere entro i 50 chilometri e raggiungibile con i mezzi pubblici in non più di 80 minuti (come si misura il tempo di viaggio soprattutto nelle grandi città?). Gli stessi estensori del disegno di legge devono aver immaginato la possibilità di tattiche dilatorie, visto che hanno poi previsto l'obbligo di accettare proposte di lavoro «anche in deroga» alla congruità per chi in un anno non abbia detto sì neanche a una. Ma questa clausola non cambia la sostanza, soprattutto se si pensa a quale sarebbe la frequenza, in certe zone del Paese, non solo di offerte congrue ma anche di offerte tout court: con regole del genere, il sussidio può benissimo essere a vita. Insomma, pure a non voler discutere l'idea in sé, è evidente che c'è molto da lavorare per metterla a punto.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA