Carmen Pellegrino
Broli
di

Poeti dimenticati

foto di Catia Ruggiero
foto di Catia Ruggiero
di Carmen Pellegrino
Martedì 13 Giugno 2017, 22:45
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Inauguro questo spazio con il ricordo di una poetessa dimenticata, per lo più sconosciuta. Nedda (Nil) Falzolgher nacque a Trento, in una casa sul fiume Adige, il 26 febbraio 1906. Era ancora tempo di dominazione austriaca.  A pochi anni, forse cinque, s’ammalò di poliomielite, che la costrinse all’immobilità per il resto della vita. Vennero le due guerre mondiali, le incalcolabili macerie. Da quell’angolo di mondo, Nil guardava. Non si mosse mai dai suoi luoghi e vi morì nel 1956.

Furono anni di sofferenza per quello che non sarebbe più stato, ma anche di curiosità per la vita e di convulse letture. Ciò che sorprende in questa giovane donna dei primi del Novecento è la voce, soffocata d’amore, contemporanea solo a se stessa. Le parole che sceglie per dire l’amore impassibile – l’amore impossibile –, imbrigliate a forza in falde religiose, divengono oggi più chiare per l’audacia creativa.

Nil è prima di tutto una donna in attesa di un gesto d’amore (sento in me stormire quest'agonia d'amore, bionda, contro la zolla che la ignora.) Nil è un corpo sacrificato che invoca un contatto di pelle. Un desiderio che raduna parole sensuali.

Stasera io sono stanca
delle tue mani lontane;
stanca di grandi stelle disumane,
com'è sazia l'agnella di erbe amare.

La poesia le va incontro come una sorta di riscatto. Nella sua giornata all’inferno scrive versi che celebrano ostinatamente la vita, anche quando cercano la terra nella quale la carne potrà benedirsi, tra fiori e rovi.
Nedda ospita dentro di sé un dolore che non è possibile eludere, ma scrivendone non è più il suo dolore: è il suo sguardo sul dolore di tutte le creature che al mondo hanno da sopportare, da patire. Quanto sarebbe più semplice vivere addormentati...

Mi sembra questo l’aspetto più rilevante della sua poetica, non la ricerca di una trascendenza come malinconica consolazione della vita sofferente. Piuttosto, il suo richiamo a Dio sembra una chiamata in causa "sotto il cielo che scende e non consola", una delicata accusa tanto più ripetuta quanto più Dio si nasconde (io ti chiamai fino a sera).
Perciò, ferma su una sedia, nomina e rinomina le cose che le vanno incontro, e quando queste cominciano a rimandare a un altrove, è a quel Dio che si rivolge, vacillando e tanto più nominandolo per farlo esistere.

«Ora tu vedi queste mie canzoni
simili tanto alle foglie che sperdi,
amaro Iddio del silenzio.
E sai che non hanno feste di sole
perché di tutto il sole tu inondi
la Terra dove cammina l'amore».

«Ascolta ancora, Dio,
le sorgenti, e perdona,
e nella mano portaci, col seme
delle stagioni innocenti».

Mario  Pomilio, nel 1981, la definì una voce isolata e ignorata fin quando fu viva, eppure per niente marginale. 
Di Nedda Falzolgher ci restano poche raccolte: En piaza del Littorio, Trento 1934; Fin dove il polline cade, Ubaldini, Roma 1949; Il libro di Nil - Prosa e poesia, Rebellato, Padova 1957, pubblicato dal padre dopo la sua morte.
La parola, fintanto che è stato possibile, ha tenuto in vita Nil, che vuol dire Nulla. Parole ti chiesi, dice ancora a Dio. Questa donna chiusa nel suo mondo, come Isabella Morra quattro secoli prima, da sola rimosse le pietre, da sola amò.  
 
 
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