La Napoli di Francesco Rosi e Pino Daniele e l'olio di Benigni             

Martedì 20 Gennaio 2015, 16:54
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C'è una parola che unisce le personalità di Francesco Rosi e Pino Daniele, i due grandi napoletani scomparsi a pochi giorni di distanza in questo balordo inizio d'anno ed è, a dispetto delle differenze di età e di formazione, rigore. Rosi e Daniele avevano la stessa rigorosa concezione dell'arte e un uso rigoroso del linguaggio e dei rispettivi mezzi di espressione e guardavano entrambi, con malcelata insofferenza, alle semplificazioni da luogo comune che funestano ancora troppo spesso la nostra cultura. Con rigore e straordinaria intuizione il regista di "Le mani sulla città" aveva inventato un nuovo modo di fare cinema, capace di unire all'essenzialità precisa dell'inchiesta il respiro della narrazione drammaturgica, facendo del cinema d'impegno civile un metodo per guardare la realtà a tutt'oggi attualissimo. Con creatività e rigore Pino Daniele ha saputo unire le strade della tradizione napoletana con quelle del blues, del funcky, del soul, rivoluzionando per sempre la melodia. Con passione e rigore la gente li ha seguiti, accompagnandoli nelle loro straordinarie carriere, nei loro percorsi di vita. Fino all'ultimo, Rosi è stato in contatto con i giovani, desideroso di trasmettere alle nuove generazioni il suo testardo amore per la ricerca della verità. E davvero sarebbe il caso, come auspicava, che i sui film venissero trasmessi nelle scuole, come una lezione di storia, di sociologia, di filosofia politica. Fino all'ultimo Pino Daniele ha cercato il contatto con la gente, con i fan, nella condivisione dello stesso linguaggio, della stessa musica. Sul resto, sul vippaio modaiolo, le chiacchiere da rotocalco, il glamour da talk-show, vinceva sempre e comunque la riservatezza. Espressioni originali e forti di un sapere che affonda le radici in un humus antichissimo per rielaborarlo in forme contemporanee e quindi necessarie, davvero anche a loro si può applicare la bella similitudine di Benigni in morte di Fellini: ”È come se fosse morto l’olio”. Ovvero un alimento essenziale alla formazione, alla crescita di tutti. Ovunque si trovassero, Pino Daniele e Francesco Rosi hanno nutrito con le loro opere l’immaginario e l’anima della gente. Raccontando di sé hanno raccontato Napoli, e raccontando Napoli hanno parlato del mondo, in una circolarità delle idee che è elemento costitutivo dell’arte. In questo senso, diventano marginali i dibattiti su chi parte e chi resta, sull’impulso a seguire l’imperativo eduardiano - fujtevenne - opposto alla scelta di farsi anche fisicamente genius loci. Certo, a Napoli il lavoro intellettuale avrebbe bisogno di maggiori supporti professionali, la creatività di un’industria culturale e l’industria di sedi, di leggi e di incentivi appropriati. Ma questo è altro discorso, anche antico, e in questo caso, perciò, riduttivo.
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