Genovese, l'arte della commedia
nascosta in un cellulare

Venerdì 19 Febbraio 2016, 15:15 - Ultimo agg. 15:17
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Un tempo si diceva: cinema due camere e cucina. Intendendo un film fatto con pochi mezzi, girato in interni, senza particolari invenzioni, piuttosto ripiegato su se stesso. Certo cinema italiano degli anni Ottanta-Novanta spesso era fatto così e per questo non ha lasciato dietro di sé grandi rimpianti.

In due camere e cucina, letteralmente, Paolo Genovese ha ambientato "Perfetti sconosciuti", la commedia corale che sta sbancando i botteghini e in classifica ha superato perfino il lanciatissimo western di Tarantino. Ma dentro quei pochi metri quadrati ci ha messo un mondo. Tre coppie di trenta-quarantenni e un amico quasi single. Muniti di cellulare. Armati di cellulare. Il rito della cena conviviale. Quattro chiacchiere sceme e l'idea pericolosissima: mettere in comune i cellulari, ascoltare l'uno le telefonate dell'altro. Catastrofe annunciata. Perché in quei telefonini c'è davvero "la scatola nera" della vita di ciascuno, in cui nascondere segreti e bugie, grandi viltà e piccole miserie.

Non siamo più dalle parti della "Terrazza" di Scola, quando il personale era politico e i terremoti sociali si riverberavano nel privato dei personaggi; e nemmeno nella "Grande bellezza" di Sorrentino, nel disincanto cafonal di Roma godona così abile a nascondere il vuoto disperante dei suoi frequentatori. Nel film di Genovese i personaggi sono lo specchio di chi guarda, l'immedesimazione tra schermo e platea è totale. L'idea in apparenza è semplice, la differenza la fa la scrittura, sincronizzata come un meccanismo a orologeria. Il resto è merito di un cast di prim'ordine che mette insieme il meglio del nostro cinema di oggi, da Battiston a Mastandrea, Giallini e Leo, da Alba Rorhwacher a Kasia Smutniak e Anna Foglietta. Si ride, e si ride amaro, guardando "Perfetti sconosciuti", nel solco della gloriosa commedia all'italiana che dimostra di avere ancora molte cose da dire. Non moriremo di cinepanettoni, forse.
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