Costi insostenibili e norme «nemiche»: la rivolta dei trattori

Agricoltori e allevatori si uniscono alla rivolta nazionale

Costi insostenibili e norme «nemiche»: la rivolta dei trattori
Costi insostenibili e norme «nemiche»: la rivolta dei trattori
di Celestino Agostinelli
Lunedì 29 Gennaio 2024, 09:45
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La politica dell'Ue, le farine di insetti, la carne coltivata, la burocrazia, il caro gasolio, allevamenti come fabbriche, terreni svenduti, il silenzio del governo e soprattutto i sindacati degli agricoltori, sono la miccia che ha fatto esplodere la protesta degli agricoltori, che in tutta Europa, a bordo dei loro trattori, sono scesi nelle principali piazze. Anche gli agricoltori del Fortore, ed in particolare di San Bartolomeo, si sono mobilitati e alle prime luci dell'alba ieri si sono radunati presso l'area industriale di San Bartolomeo per poi dirigersi verso la statale 17 Foggia-Campobasso e unirsi ai colleghi pugliesi.

«Le tasse aumentano sempre di più dice Antonio Pacifico, produttore di pomodorini non vengono introdotti nuovi sussidi agricoli, ma, al contrario, si taglia l'agevolazione fiscale sul gasolio. Produciamo prodotti di eccellenza con ricavi irrisori, basti pensare che vendiamo un chilo di pomodorini a 20 centesimi mentre al consumatore arriva a 3 euro. Pretendiamo una maggiore tutela del nostro lavoro, delle nostre produzioni e soprattutto dei nostri terreni». La rivolta degli agricoltori punta anche a sollecitare una riforma radicale della Politica agricola comune. «Viviamo gli stessi problemi dei nostri colleghi europei, tedeschi, spagnoli, francesi olandesi dice Mario Monaco, uno dei sostenitori del made in Italy in modo particolare per gli effetti prodotti dalle riforme ambientali e le normative europee che ci impongono una produzione limitata e differenziata a vantaggio di produzioni da laboratorio ed una importazione incontrollata.

Il 2023 è stato un anno impegnativo per il nostro settore per motivi ambientali, con alluvioni o periodi di estrema siccità, mentre si spendono soldi per la guerra in Ucraina». Una vera rivolta dal basso, quella in atto del mondo agricolo, organizzata e animata da persone che non hanno mai saltato un giorno di lavoro, costretti a far quadrare un bilancio squilibrato.

«Non passa lo straniero dice Aldo Pacifico, imprenditore agricolo , per noi lasciare un giorno il lavoro nei campi per protestare è già un grande disagio. Ma siamo ormai stremati e la nostra mobilitazione vuole contrastare il programma europeo che costringe ad abbandonare il 10% dei terreni agricoli, oltre alla rotazione forzata dei cereali, misure che rischiano di mettere del tutto in pericolo il settore». A distanza di dieci anni dalla rivolta dei forconi, la proposta di introdurre un costo di produzione da considerare nel prezzo di vendita non ha ancora portato risultati tangibili, mentre i coltivatori vedono i loro profitti ridursi e i costi dei mutui e dei carburanti aumentare. Sul banco degli imputati anche il green deal.

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«Non possono paragonare le nostre stalle alle industrie che inquinano dice Giuseppe D'Arrisso, allevatore , è necessario che si riveda la direttiva sulle emissioni industriali, proposta dalla commissione europea che per le migliaia di allevatori può definirsi una direttiva "distruggi stalle". Ogni giorno chiudono tante aziende zootecniche e c'è una evidente riduzione dei redditi di noi allevatori. Oggi intendiamo difendere il nostro lavoro martoriato dalle banche, umiliato dalle importazioni, abbandonati dallo Stato e saccheggiato da una politica che non ci tutela e da politiche comunitarie vessatorie». Da più parti si punta il dito sulle rappresentanze sindacali, che per tanti non rappresentano più gli interessi degli agricoltori, ecco perché la protesta non vede la presenza di bandiere o sigle.

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