I napoletani hanno imparato a fare le scarpe ai nigeriani. Perché la globalizzazione non procede in una sola direzione. E il Made in Naples è come un fiume che scorre dove trova il proprio letto. In cima ai Quartieri Spagnoli, quando sulla tua testa incombe già il corso Vittorio Emanuele, in fondo a vico Politi, dove i bassi seguono i bassi, di fronte a uno slargo creato dall’abbattimento di un edificio pericolante (quando? nella guerra? per il terremoto?), a ridosso di palazzo Cilento, c’è il laboratorio dei fratelli Guida, Giovanni e Francesco.
È una stanza piccola, dopo un cancello di ferro, banchi di lavoro, forme, suole, tacchi.
Napoli sotto la pelle nasconde sempre mille sorprese. Sono il sangue e i tendini della vita. Tutto scorre e tutto ritrova un ordine, una tensione, una forza. Sono scarpe femminili, sandali, zoccoli, alcuni di raso arancione e gialli o con i tipici colori panafricani, nero e marrone. «Sono quelli che tirano di più» aggiunge Francesco. «Poi aggiungiamo delle nocche, dei fiocchi, che alle donne nigeriane piacciono un sacco».