Contromano in Tangenziale a Napoli: «L’alcol non c’entra, voleva uccidere la ragazza: è femminicidio»

Contromano in Tangenziale a Napoli: «L’alcol non c’entra, voleva uccidere la ragazza: è femminicidio»
di Giuliana Covella
Martedì 28 Luglio 2015, 08:36 - Ultimo agg. 08:42
3 Minuti di Lettura
«Voleva ucciderla. Quanto ha fatto è un chiaro indicatore di tentata violenza su una donna. L'alcol? Non c'entra nulla. Si tratta di un tentato femminicidio». La posizione di Elvira Reale, responsabile dello sportello antiviolenza dell'ospedale San Paolo, è chiara e netta sulle responsabilità della morte di Livia Barbato, la 22enne morta in seguito all'incidente in tangenziale avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorso. Secondo la Reale, che è alla guida dello sportello che è un'eccellenza a livello nazionale nella prevenzione e nel contrasto alla violenza di genere, la morte della giovane fotografa non sarebbe stato un errore dovuto alla corsa folle di un uomo ubriaco. Ma un «tentato femminicidio».







Lo dice la nota psicologa, che ha dedicato numerosi libri all'argomento e che così analizza la vicenda: «Appena ho sentito la dinamica dei fatti ho capito che si trattava di violenza psicologica finalizzata all'uccisione della donna. Guida spericolata e a fari spenti nel 10 per cento dei casi è un indicatore di tentato femminicidio per terrorizzare la vittima e ottenere da lei una sorta di accomodamento». In pratica, secondo quanto ricostruito dalle indagini, a detta della Reale, prima di accelerare il 29enne avrebbe detto (il condizionale è d'obbligo, ndr) alla fidanzata “adesso ti faccio vedere io”. «Lei, terrorizzata, ha cercato di salvarsi, spostandosi sul sedile posteriore. Ma l'impatto con l'altra auto che arrivava in direzione opposta è stato troppo violento e la donna non ce l'ha fatta. Questo è tipico di chi terrorizza la vittima negli attimi precedenti la morte e che viene – per così dire – aiutato dal fatto di aver bevuto tanto. In poche parole lui ha spento i fari, ha fatto inversione a U e poco prima le ha detto quella frase minacciosa, avvisandola di ciò che di lì a poco avrebbe fatto». «Una tecnica psicologica dunque, per terrorizzare la partner», come dice la psicologa, sarebbe stata quella messa in atto da Aniello Mormile (accusato di duplice omicidio volontario) per uccidere la fidanzata. Ma a questo punto viene da chiedersi: cosa avrebbe mosso il 29enne a voler ammazzare la ragazza? Cosa avrebbe scatenato tanta violenza?



«I familiari della vittima hanno parlato di “amore assoluto”. Ma questa frase ha già in sè insita l'idea – sbagliata – di possesso e gelosia. Non è amore un “amore assoluto”». Fa riflettere, in effetti, che il pomeriggio del 24 luglio sul suo profilo Facebook la donna aveva postato una foto fatta da lei ad un modello, di cui aveva scritto il nome e accanto al quale aveva fatto un cuore. Un post che potrebbe aver suscitato la gelosia del fidanzato. Ipotesi che, naturalmente, sono al vaglio degli investigatori. Eppure la Reale non ha dubbi: «Lui cercava lo scontro per ucciderla. C'è stata intenzionalità e il fatto che fosse ubriaco non c'entra niente. La dinamica si evince dal fatto che lei si è rifugiata dietro, perché sapeva in quel momento di essere in pericolo.E lui voleva farla sentire remissiva nei suoi confronti, per poi mettere in pratica il suo disegno criminale».



Infine l'appello ai familiari e agli amici dei due fidanzati: «Chi sa parli, specie i genitori. Solo l'analisi del contesto della loro relazione sentimentale potrà far luce su quanto avvenuto. Ma attendiamo ovviamente le indagini della Procura».