Banditi uccisi dal gioielliere, è caccia al terzo complice

Banditi uccisi dal gioielliere, è caccia al terzo complice
di Gigi Di Fiore
Venerdì 9 Ottobre 2015, 11:09 - Ultimo agg. 11:17
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Ha dovuto farsi ricoverare per un giorno in una clinica privata. L’agitazione e l’ansia hanno costretto il gioielliere e commerciante di preziosi ercolanese Giuseppe Castaldo a sottoporsi ad accertamenti e visite mediche. È il giorno dopo quei minuti drammatici, vissuti nel parcheggio del deposito di detersivi e bibite in corso Resina. Quegli attimi di follia, che hanno spinto il gioielliere a sparare e uccidere Bruno Petrone e Luigi Tedeschi, che avevano tentato di rapinargli i cinquemila euro prelevati da poco dall’agenzia del Banco di Napoli in via IV Novembre.



Il risveglio è stato brusco, dopo una notte insonne. Assediato dai giornalisti, il figlio del commerciante di preziosi è stato costretto a tenere chiusa la gioielleria di famiglia, che è presidiata dai carabinieri per motivi di sicurezza.



Il gioielliere sessantottenne, che è sposato e ha tre figli, è indagato dalla Procura di Napoli di omicidio colposo per eccesso di legittima difesa. Lunedì, ci sarà un nuovo passaggio dell’inchiesta: il pm Pierpaolo Filippelli ha fissato l’autopsia dei due rapinatori uccisi. Consulenti della Procura sono il medico legale Antonio Cavezza e la tossicologa Angela Silvestre.



Ma l’ipotesi d’accusa si gioca tutta su una circostanza, raccontata due giorni fa dal gioielliere nel suo interrogatorio: il colpo inesploso nella pistola a canna corta che gli ha puntato sul volto uno dei rapinatori. Ha dichiarato Giuseppe Castaldo: «Ho avuto paura, quando uno dei due rapinatori, accortosi che ero armato, ha premuto il grilletto della sua pistola che si è inceppata. È stata una frazione di secondo, ho avuto timore di essere ucciso ed ho preso la pistola per poi sparare».



Uno dei primi reperti sequestrati dai carabinieri è stata naturalmente la pistola, trovata tra le mani di uno dei due rapinatori. Secondo le prime ricostruzioni, si sarebbe trattato di un’arma caricata a salve. Un consulente tecnico del pm verificherà se è credibile la ricostruzione dell’indagato. Se, insomma, il proiettile trattenuto nell’arma era a salve o reale.

Ma l’inchiesta va avanti anche alla ricerca di un complice dei due rapinatori morti. Un basista, che avrebbe segnalato quando il commerciante era uscito dalla banca, per dirigersi, come faceva di solito quando prelevava denaro, verso la sua auto Renault Megane parcheggiata nel cortile del deposito di proprietà di un suo amico. Nei filmati di sorveglianza registrati all’interno del Banco di Napoli, si vede un uomo sulla cinquantina di corporatura robusta, che segue Giuseppe Castaldo all’interno, non lo perde d’occhio un attimo e esce subito dopo di lui. È il basista dei due rapinatori, che li ha avvertiti mettendoli in allerta e in condizione di poter agire?



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