«Premiata pasticceria benedetta da Salemme»

Al Diana la commedia nella versione del Nest

Pantaleo, Di Leva e Gaudino
Pantaleo, Di Leva e Gaudino
di Luciano Giannini
Mercoledì 1 Maggio 2024, 08:17
3 Minuti di Lettura

Un concentrato di nuovo teatro napoletano; questo spettacolo è frutto esemplare di una auspicabile collaborazione tra sale private, il Diana e il Nest (che continua da anni), e riguarda la drammaturgia di uno dei più popolari autori-attori napoletani, Vincenzo Salemme. La sua «Premiata pasticceria Bellavista» (1997) sarà da domani al Diana, che è in veste di produttore, nell’allestimento messo a punto da Francesco Di Leva, Giuseppe Gaudino, Adriano Pantaleo e Giuseppe Miale Di Mauro (alla regia); vale a dire i quattro artisti che da oltre 13 anni, al Nest di San Giovanni a Teduccio, danno anima a un piccolo-grande teatro, artefice di una preziosa funzione socio-culturale in una complicata periferia (sabato, alle 16.30, Geppi Cucciari sarà protagonista di «Una serata con...»). Il titolo debuttò a fine giugno ‘23 al «Campania teatro festival». Ora torna nella stagione della sala vomerese. In scena saranno anche Stefano Miglio, Viviana Cangiano, Cristel Checca, Dolores Gianoli e Alessandra Mantice.

È la prima volta che Salemme concede ad altri i diritti per rappresentare una sua opera.

Di Leva: «Quando la scegliemmo, fui io a telefonare a Vincenzo, con un po’ di timore e tanta speranza». Ben ripagata: «Dopo neppure un minuto mi rispose: “Vai. Permesso accordato”. E aggiunse la frase più bella: “Rispettate il testo, ma sentitevi liberi di interpretarlo seguendo le vostre idee”».

«Premiata pasticceria Bellavista» gioca con la presenza ingombrante di una madre diabetica; sull’umanità che la circonda, egoista e interessata al proprio tornaconto; e su un trapianto di occhi dagli effetti imprevisti. Perché voi del Nest avete scelto proprio questo titolo? Di Leva: «Riflette su esseri umani che guardano ma non vedono. E più passa il tempo, più ci rendiamo conto che la cecità interiore governa i cuori di troppe persone. La nostra vuole essere una provocazione. Il “furto” di quegli occhi, trapiantati da un clochard a un pasticcere, sono emblematici. Il primo, dato per morto, si risveglia dal coma e va in cerca di chi ora vede al posto suo. E finirà per dirgli: “Li hai presi, ma a che cosa ti servono se vedi, ma non guardi?”».

Video

E la libertà cui accennava Salemme? Il regista, Miale Di Mauro: «Assecondando la nostra visione, l’abbiamo interpretato come se fosse una commedia all’italiana, quelle di Risi, Monicelli, Scola... Leggerezza sì, ma anche riflessione amara. La storia tratta pur sempre dell’omicidio di una madre. Bisogna esser ciechi per farlo. E c’è bisogno di un cieco perché i ciechi veri vedano». Come queste premesse si concretano nella regia? «Le faccio un esempio: c’è una scena in cui Carmine, il clochard non vedente, chiede agli altri di dirgli cosa vedono. Nell’originale seguono varie battute degli altri personaggi. Noi le abbiamo evitate, raccogliendo le risposte di Carmine fino a farne un monologo». Quanto alla scenografia, «abbiamo capovolto il luogo dell’azione scenica, che non si svolge più nella pasticceria, ma nel laboratorio» Infine, «è stata esaltata la presenza incombente della madre con un grande letto-totem al centro della scena».

© RIPRODUZIONE RISERVATA